…a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino.

Davide Romano – Il 9 novembre 1989, complice anche la dichiarazione avventata di un portavoce della Repubblica Democratica Tedesca durante un’agitata conferenza stampa nel corso della quale il corrispondente italiano dell’Ansa, Riccardo Ehrman, pose la domanda decisiva “when does it come into effect?”, il checkpoint di Bornholmer Strasse, per primo, venne aperto per consentire ai cittadini di Berlino Est di transitare finalmente verso “l’agognato Occidente”, che aveva in Berlino Ovest il suo più immediato avamposto.

Il crollo del muro
Quell’evento assurgerà in seguito a simbolo del passaggio d’epoca verso la riunificazione tedesca, certo, ma soprattutto verso la successiva implementazione del progetto di unificazione europea.

Il crollo di quel muro decretò il definitivo collasso di uno dei due blocchi antagonisti: quello che aveva il suo centro di irradiazione nell’Urss, ormai in piena perestrojka, e la fine di una strategia del terrore che aveva per decenni soggiogato popoli e compresso oltre ogni limite le libertà individuali e civili di decine di milioni di cittadini dell’Est Europa.

A quell’evento gaudioso non furono estranee le chiese evangeliche della Germania Est, a partire dalla cattedrale luterana di San Nicola a Lipsia. Nelle chiese infatti nacque e attecchì sin dai primi anni ‘80 un poderoso movimento per la pace che sfidò, sulle orme degli insegnamenti di Martin Luther King, con la preghiera e con alcuni eclatanti gesti simbolici, il governo della Repubblica Democratica Tedesca, aggirando e quasi “disarmando” l’arcigna sorveglianza della Stasi.

Ma i muri possono tornare…
Tra qualche giorno dunque celebreremo i trent’anni esatti dalla caduta del muro, e lo faremo, temo, in tono dimesso. Molteplici sono infatti i motivi di rammarico per un trentennale che cade in tempi poco sereni. Il progetto europeo che pur con tutte le sue contraddizioni ci ha fin qui garantito pace e prosperità segna il passo.

Le rinascenti forze nazional-sovraniste, arginate ma non certo confinate alle elezioni dello scorso maggio, promettono di trasformare l’Europa nuovamente in una fortezza sicura e il più possibile omogenea e ripropongono, chi più chi meno, nostalgici motivi nazionalistici di strenua difesa dei confini.

La Germania di oggi scopre dopo le ultime elezioni regionali una persistente questione orientale, e il consiglio comunale della città di Dresda, giusto per non farci mancare nulla, denuncia la nazificazione strisciante della città e il ritorno di antichi mai sopiti slogan antisemiti.

La Russia non nasconde le proprie simpatie e il proprio favore a forze populiste e nazionaliste in vari Paesi, e il suo presidente, Vladimir Putin, non più tardi di alcuni mesi fa ha dichiarato al Financial Times che il liberalismo è obsoleto.

Dagli Stati Uniti giungono nel frattempo inquietanti segnali di insofferenza a politiche multilaterali, persino sul piano della pura strategia militare, e trionfa anche lì la retorica del primato degli interessi nazionali su ogni altra considerazione, e via con i dazi e con la costruzione di nuove e più poderose barriere con il Messico.

Naturalmente la storia non si ripete mai identica, e qualcuno, molto noto, diceva che la seconda volta si passa dalla tragedia alla farsa, ma quando certi richiami scaldano i popoli e li mobilitano verso precisi nemici, indicati con il colore della pelle, con l’appartenenza a una religione o a una etnia, o con l’attacco alle procedure burocratiche di cui pure la democrazia si sostanzia, il ritorno di discriminazioni cocenti è spesso dietro l’angolo e le farse possono rivelarsi forse meno tragiche sul piano statistico ma ugualmente nocive su quello umano e semiotico.

Se vogliamo dunque celebrare un trentennale sensato e memore, occorre tenersi stretto il progetto dell’Unione europea, migliorandolo un bel po’ e scommettendo ancora sulla coesione al posto del conflitto, sulla reciproca fiducia invece che sulla dichiarata diffidenza, e sul prevalere del diritto e della libertà che da sole possono preparare un futuro meno minaccioso. Soltanto una politica responsabile e meno appassionata agli slogan del momento, o agli umori di singoli leader narcisisticamente dionisiaci, può garantire tutto ciò. Ma certo, nell’attuale temperie ci vuole molta immaginazione e, per noi cristiani, una dose doppia di preghiera e di memoria.

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