In questo numero di Sfogliando il giornale parliamo di mafia, prendendo in considerazione un articolo tratto dal settimanale L’Espresso, dal titolo: “Peppino Impastato ha vinto“. Si legge nell’articolo: “Quando Peppino Impastato è stato dilaniato dal tritolo non aveva in tasca la tessera da giornalista. Non era iscritto all’albo. Eppure denunciava storie illegali della politica locale attraverso i microfoni di Radio Aut, scriveva, alzava la voce, scherzava sui mafiosi del suo paese, ironizzava e li sbeffeggiava. Ora, a quarant’anni dalla sua uccisione, grida. Grida e non smette più. Come dice suo fratello Giovanni Impastato, lui voleva fare il giornalista, ma «i mafiosi hanno commesso un errore», perché «mettendolo a tacere, hanno amplificato la sua voce. E non è solo questione di quanto si fa sentire: è questione di qualità del messaggio, perché se è la vittima a parlare, tutti tacciono, perché la sua autorevolezza è indiscutibile». E per Giovanni i mafiosi fecero un altro errore: «l’avessero lasciato parlare, magari a lungo andare si sarebbe ripetuto e avrebbe stancato. Magari avrebbe perso la testa e avrebbe esagerato, si sarebbe smascherato, sarebbe caduto lui, nel ridicolo. Invece così ha per sempre ragione, ha per sempre voce in capitolo. E gli altri ad ascoltare»”.

Ne abbiamo parlato con Lucia Cuocci, dell’associazione culturale “Fuori dai paraggi“; associazione che ha organizzato un viaggio culturale a Palermo, nel quale ha avuto un certo peso proprio la riflessione sull’omicidio di Peppino Impastato.
Abbiamo ascoltato anche la dottoressa Franca Imbergamo, della Procura Nazionale Antimafia, che è già stata pm nel processo Impastato.

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