Secondo i libri di storia, il medioevo è un periodo storico lunghissimo, che dura mille anni, datato tra la fine dell’impero romano ( 476) e la scoperta dell’America (1492).
In un’epoca costituita da molti secoli, è difficile orientarsi nella scelta delle espressioni poetiche di tutto questo tempo.
Per la nostra puntata di oggi sulla poesia medioevale, abbiamo utilizzato tre criteri di scelta, scegliendo arbitrariamente su queste basi:
1- poesie che parlano delle gesta dei cavalieri;
2- poesie scritte nelle nuove lingue nazionali, che nascono dal latino e dalle lingue celtiche;
3- le poesie ormai “ colte”, diremmo moderne, che trasmettono ai nuovi tempi i valori classici greci e romani .
E dunque 1- riportiamo alcuni versi della Chanson de Roland.
Poi 2- qualche strofa del Cántico dei Cantici di San Francesco.
Infine 3- alcuni versi di Dante Alighieri, sia amorosi del cosiddetto “ dolce stil novo”, che etici e filosofici.

Chanson de Roland
Le nuove nazioni hanno bisogno di eroi, di cavalieri, di modelli da seguire.
In Francia si raccontano in versi le imprese di Carlomagno contro i saraceni in Spagna.
Immaginiamoci che questi versi siano cantati dovunque, da teatranti, giullari, gente comune, a corte, ma anche per le strade, nei mercati, e il popolo, ascoltandoli, si senta parte di una nazione, di un aggregato stabile che permetta il rifiorire di iniziative, di commerci, di imprese militari.
I versi sono scritti nella lingua d’oil, nucleo della lingua francese.

Re Carlo, il nostro magno imperatore
stette per sette interi anni in Spagna.
Fino al mar conquistò la terra alpestre
e a lui d’innanzi cedono castella,
nè un borgo, e non un muro,
rimase contr’a lui , nè città,
tranne Saragozza che sta su la montagna.

Queste “ canzoni” , veri reportage di guerra romanzata, sono state scritte intorno all’anno mille.

Facciamo un salto di duecento anni e planiamo in Umbria.
In questa regione specialmente, ma anche in altre, fiorisce il fenomeno del “monachesimo”, che ha una valenza non solo religiosa, ma anche civile e culturale.
Uomini di città, in molti casi appartenenti a famiglie aristocratiche, decidono di andare lontano da casa, in luoghi eremitici, dove consacrarsi al Signore, ma anche lavorare i campi, illustrare, con splendide miniature, i vecchi libri, recuperare antiche pergamene, predicare i nuovi valori a masse sempre più estese di persone che vanno ad ascoltarli.
Intorno ai frati, a partire dalle fondamenta cristiane, si ricostituisce una civiltà intera.
Dopo il disastro economico successivo alla caduta dell’Impero Romano, i campi si ripopolano, si costruiscono castelli e borghi e, poi, sono edificate città sempre più grandi e potenti.
Infine, sopratutto in Francia e Germania, si costituiscono nazioni.

L’autore di questi versi è Francesco da Assisi, grandissimo innovatore della religione e della cultura. Nella sua opera e nella sua predicazione, uomo, Dio e Natura, si compenetrano. Niente di più attuale, è la stessa sensibilità dei giorni nostri.
Questa splendida poesia è scritta in italiano( 1226) . È la prima, nella nostra lingua, di cui si conosca l’autore.
È una lode a Dio, ma anche un inno alla vita.
Ne riportiamo pochi versi:

Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude,
la gloria e ‘honore et omne benedictione.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature
spetialmente messer lo frate sole…
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore
de te, Altissimo, porta significanza…

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in cielu
l’ai formate clorite et preziose et belle

Laudato si’ mi’ Signore, per frate vento et per aere et
nubilo et sereno et omne tempo,
per lo quale alle tue creature dai sostentamento

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la quale è multo utile
et umile et preziosa et casta

…e poi “ frate focu “, robustoso et forte
e sora “ madre terra” la quale ne sostenta e ne governa…
E infine:
Laudate e benedicete mi’ Signore..serviatele cum grande humilitate .

Veniamo a Dante. Abbiamo scelto due poesie.
Una che inneggia all’amore per Beatrice, l’altra, compresa nel ventiseiesimo canto dell’inferno, che costruisce, solo con due versi, la nuova etica moderna.
Versi magnifici.

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
che la lingua deven, tremando, muta
e li occhi non l’ardiscon di guardare.

Ella sen va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi si piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che intender non la può chi non la prova

e par che dalla sua labia si muova
uno spirito soave pien d’amore
che va dicendo all’anima: sospira.

XXVI canto dell’inferno: Ulisse è di nuovo partito per l’ignoto. Vuole scoprire, andare oltre i confini conosciuti, non usando, secondo Dante, nè la fede, nè la ragione.
Per questo muore ed è collocato da Dante all’Inferno.
Anche questi sono versi indimenticabili:

O frati, ( fratelli) dissi, che per cento milia perigli siete giunti in Occidente
a questa tanto piccola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente ( in questo poco tempo di vita sensibile che ci rimane),
non vogliate negar l’esperienza
di retro al sol, del mondo senza gente.
(Dante credeva che a occidente si fosse dietro al sole e non ci fossero abitanti).
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per segui vertute e canoscenza.

La mia ragazza

Sono la tua ragazza….
È la prima volta che lo sento dire
in tutta la mia vita, veramente,
in tutta la mia vita.

Qualche volta mi sono innamorato.
Qualcuna l’ho messa in Paradiso,
così in alto che nemmeno le vedevo il viso,
o l’ho travata nelle spazzature,
lì mi piaceva razzolare
tra rifiuti e fregature.

Nessuna è stata la mia ragazza,
semplicemente, naturalmente,
senza paure, congetture, storpiature.

Le tue parole fanno cigolare portoni arrugginiti
che sento gemere nell’anima.
Guardo il paesaggio tra le feritoie della mia costruzione,
egoismo, delirio e vuoto
indicano i territori su cui comandano.

Mi scopro all’improvviso stanco
esausto, della guerra di liberazione.

Speciale POESIA è una nuova rubrica radiofonica a cura di Giovanni Varrasi, medico psichiatra e poeta, con la partecipazione di Claudio Coppini, nella veste di conduttore, e di Roberto Vacca, che legge i testi scelti di volta in volta.
Un viaggio nella storia della poesia e dello sguardo poetico attraverso i secoli, fino alla nostra attualità, lasciando l’ultima parte del programma aperta ai radio ascoltatori che vorranno mettersi in gioco inviando alla redazione dei propri componomenti poetici.
Potete inviare le vostre poesia a firenze@radiovocedellasperanza.it

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