Giuseppe Marrazzo – La violenza contro le donne è diventata insopportabile e richiede urgentemente una soluzione. È intollerabile che in Italia nel 2012 ben 120 donne siano decedute per mano di mariti e fidanzati abbandonati. Il simbolo di questa battaglia contro la violenza perpetrata verso le donne è dato dalla morte della ragazza di 23 anni avvenuta in India, la cui identità è protetta, e quindi le sono stati attribuiti nomi fittizi come Damini (illuminazione), Amanat (tesoro) o Nirbhaya. È stata stuprata da sei ragazzi originari della baraccopoli a sud di New Dehli, sotto gli occhi del fidanzato brutalmente picchiato. Gli uomini, dopo aver abusato a turno della ragazza, hanno scaraventato lei e il suo ragazzo fuori dal minibus. Quindici giorni dopo, nell’ospedale di Singapore, il cuore di Amanat ha smesso di battere.

In India, spero nel mondo intero, si è alzata un’onda di protesta e molte persone sono scese in piazza per manifestare contro un simile imbarbarimento di violenze maschiliste. Sonia Gandhi ha affermato che «la morte di questa coraggiosa ragazza ci spinge a rinnovare il nostro sforzo per combattere le forze disgreganti che sono alla base dell’orrendo delitto». Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha affermato: «La violenza contro le donne non può essere accettata, scusata e tollerata. Ogni donna ha diritto al rispetto, al valore e alla protezione».

Mi ha colpito vedere la foto di una ragazzina che sollevava un cartello con la scritta «Criminals should be punished» (i criminali devono essere puniti). Ma siamo ancora storditi dall’orrenda morte della giovane ventitreenne, le cui ceneri sono state da poco disperse nel Gange, che una ragazza di 17 anni viene sedata e violentata durante il veglione di Capodanno; mentre da Bangalore giunge una notizia drammatica: una bambina di sette anni è stata stuprata. Punte di un iceberg inquietante, ma il fenomeno è ben più grave e il dr. Yohannan, presidente di «Gospel for Asia» non esita a definire la condizione della donna in India «un male orrendo che peggiora sempre di più» (cfr. www.gfa.org). Un quarto della popolazione indiana appartiene alla casta degli «intoccabili» (dalits o paria), un gruppo considerato subumano, e non è difficile intuire che violenza fisica e psicologica, molestie sessuali, matrimoni forzati, mutilazioni, aborti e sterilizzazione siano pratiche frequenti. Il 46 per cento delle donne sposate ha 18 anni e addirittura di meno. Il matrimonio con bambini di 5 e 7 anni, sebbene illegale, è purtroppo ancora praticato soprattutto nelle regioni rurali.

Perché un simile accanimento contro la donna? Come tutelare le fasce più facilmente esposte alla violenza? Come educare al diritto e al rispetto? Colei che è definita «ishah» («uoma» femminile di «uomo» ish) possiede la stessa radice perfino nel nome, gli stessi diritti, gli stessi doveri. Perché contro colei che il primo uomo non esitò a chiamare, con slancio poetico, «ossa delle mie ossa, carne della mia carne», si sta scatenando una simile furia omicida? Che cosa fare per arginarla? Per Dacia Maraini, celebre scrittrice, occorre che la scuola sia preparata a trasmettere «un’educazione dei sentimenti e a lavorare sui ruoli», perché è in atto non «una guerra fra generi, ma fra culture, che fa capo al patriarcato, alla gerarchia, all’amore come possesso». Nel frattempo, però, chi ha accettato il messaggio di Gesù, contrario a ogni forma di discriminazione, deve fare tutto il possibile perché ogni minima traccia di violenza domestica e di disuguaglianza sia eliminata.

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