NA - Notizie AvventisteFrancesco Zenzale – “Allora mi avvicinai all’angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: ‘Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele’” (Ap 10:9, versione Cei)

“Per ordine di una voce dal cielo, Giovanni si alza e s’impadronisce del ‘libro aperto’ (Ap 10:8) che è nelle mani dell’angelo e lo mangia. Questo gesto è significativo: la parola è ricevuta e assimilata. […] L’esperienza del profeta dell’Apocalisse ricorda quella di Ezechiele: anche lui udì la voce dello stesso angelo di luce (cfr. 1:28; cfr. Ap 1:12-15) che gli ordina di mangiare un libro (cfr. Ez 3:1). Questo gesto strano è spiegato dai versetti seguenti. Indica il ministero del profeta che, dopo aver ‘assimilato’ il contenuto del libro, lo comunica ai suoi contemporanei (vv. 2-6).

Il parallelo fra i due testi non si ferma qui. Come Giovanni, Ezechiele trova il libro “dolce come il miele» (v. 3; cfr. Ap 10:9,10). Come per Giovanni, l’esperienza è ambigua. Alla dolcezza si mescola un retrogusto amaro. Questo libro contiene ‘lamentazioni, gemiti e guai’ (Ez 2:10). La ragione di questa ambiguità risiede nella natura stessa del messaggio profetico da trasmettere al popolo. Si tratta di un messaggio, nello stesso tempo, di giudizio e di restaurazione.

Il giudizio di cui parla Ezechiele è diverso dagli altri annunciati fino a quel momento dai suoi predecessori: ‘La fine viene’ (7:2,3,6). Ezechiele, profeta dell’esilio, annuncia la venuta imminente del giudizio di Dio. La distruzione di Gerusalemme è alle porte. Il profeta è posto in Israele come una sentinella che grida e avverte il popolo del disastro imminente. Ezechiele non si accontenta di predicare la notizia per mezzo di oracoli, parabole e gesti simbolici (cfr. 33:2). Il profeta vive l’avvenimento doloroso sulla sua propria carne. Sua moglie, ‘la delizia’ dei suoi occhi, muore (24:15-27). Egli porterà il lutto per tre anni; il tempo dell’assedio di Gerusalemme, fino alla sua caduta (33:22).

Da un altro lato, oltre agli avvertimenti di morte e distruzione, Ezechiele annuncia la promessa della restaurazione. Il ritorno degli esuli è profetizzato, le tribù d’Israele saranno nuovamente riunite (37:21). La città di Gerusalemme sarà ricostruita (40-48). Il paese rifiorirà (47:12). Gli uomini e le donne avranno un cuore nuovo. La profezia vede l’avvenimento come una vera risurrezione. Le ossa, toccate dalla parola di Dio si ricopriranno di carne, di nervi, di pelle, si alzeranno e torneranno in vita (cap. 37). Il miracolo della creazione è nuovamente proclamato. Come in Genesi 2:7, lo Spirito soffia per far vivere la polvere della terra (37:9). Questo doppio messaggio, dolce e amaro nello stesso tempo, di giudizio e di creazione, si trova nell’Apocalisse e ha un’eco in Ezechiele. […]

Questo aspetto acquista tutto il suo senso quando, dopo aver avvallato il libro, Giovanni è chiamato a profetizzare ‘su molti popoli, nazioni, lingue e re’ (Ap10:11). La stessa frase la ritroveremo in seguito, al capitolo 14, per caratterizzare la missione del messaggero profetico dei tempi della fine, pure lui chiamato a parlare ‘a ogni nazione, tribù, lingua e popolo’ (v. 6). Anche in questo passo il messaggio è centrato sul giudizio e sulla creazione (14:7-11). Il popolo di Dio del tempo della fine, impersonato da Giovanni che ha assimilato il libro di Daniele, è annunciato come un popolo di profeti la cui missione è di portare al mondo il messaggio di Daniele riassimilato dall’Apocalisse” (J. Doukhan, Il grido del cielo, Ed. Adv, pp 111-113).

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