NA - Notizie AvventisteFrancesco Zenzale – “E il diavolo che li aveva sedotti fu gettato nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli” (Ap 20:10).

Da questa dichiarazione e da altre (Matteo 25:46; Isaia 66:24; Matteo 18:8,9, ecc.) si è voluto giustificare e sostenere, nel nome di Dio, la dottrina delle pene eterne, insegnando che il male stesso sarà eterno, che nell’eternità il bene sarà sempre contrapposto al male e che quindi una purificazione completa dell’universo non avverrà mai, ecc. Ma la Parola di Dio ci presenta la distruzione dei malvagi e della morte. I passi biblici che sostengono questa dottrina sono numerosi.

Artefici della loro propria rovina, i ribelli “saranno come se non fossero mai stati”; “come avviene d’un sogno quando uno si sveglia, così tu Signore spazzerai la loro vana apparenza”; “l’empio perirà per sempre come lo sterco suo; quelli che lo vedevano diranno: ‘Dov’è?’ Se ne volerà via come un sogno, e non si troverà più; dileguerà come una visione notturna”; “ecco tutti quelli che si sono infiammati contro di te saranno svergognati e confusi; i tuoi avversari saranno ridotti a nulla, e periranno. Tu li cercherai e non li troverai più quelli che contendevano teco; quelli che ti facevano guerra saranno come nulla, come cosa che più non è”(Abdia 16; cfr. Giobbe 10:19; Salmo 73:20; Giobbe 20:7,8; Isaia 41:11,12). I malvagi sono paragonati a: materiale infiammabile, e cadono come la paglia che brucia o che viene portata via dal vento (Giobbe 21:18; Salmo 1:4; Nahum 1:10; Matteo 2:12); fumo che si dissolve (Salmo 68:3; 37:20; Isaia 51:6), una lampada che si spegne (Proverbi 13:9; 37:20; Isaia 51:6); pula portata via dall’uragano (Giobbe 21:18; Isaia 17:13); zizzanie gettate nel fuoco (Matteo 13:40,41); vaso rotto (Salmo 2:9; Apocalisse 2:27; Romani 9:22; Matteo 21:44). Coloro che non avranno sostenuto i poveri e i deboli, dice Gesù, subiranno una “punizione eterna” (Matteo 25:46).

“È da notare che allorquando la parola ‘eterno’ qualifica un atto, l’eternità non è sempre l’attributo dell’atto stesso, ma quello del risultato dell’azione. Indica allora la perpetuità dell’effetto prodotto dall’atto o dall’agente. È così che nell’epistola agli Ebrei, Gesù ottenne una ‘redenzione eterna’, eterna nei suoi effetti, benché l’atto redentore sia stato compiuto in un giorno sulla croce. Nella stessa lettera si parla di un ‘giudizio eterno’; evidentemente sono gli effetti della sentenza che sono eterni. Nella lettera di Giuda, le città di Sodoma e di Gomorra sono presentate come testimoni permanenti delle vendette divine, la pena di un ‘fuoco eterno’ (Ebrei 9:12; cfr. 9:25,28; 6:2; 7:25; 6:2; Giuda 7). Il mar Morto è l’eterno testimone di una catastrofe che appartiene alla storia. Questo modo di esprimersi non è sconosciuto alle nostre lingue moderne; lo si ritrova nell’espressione: dire un eterno addio, sinonimo di un definitivo o supremo addio. ‘Il fuoco che non si estingue’, un simbolo della morte definitiva. Questa locuzione proverbiale e iperbolica ‘fuoco eterno’ o ‘inestinguibile’, non è esclusivamente ebraica. Ovidio parla della ‘pianura eterna’ che consumò Telefe. Omero parla del ‘fuoco inestinguibile’ che faceva consumare la flotta dei Greci. Sedici secoli più tardi Eusebio impiegava lo stesso termine in occasione del martirio di due cristiani condannati al rogo” (A. Pellegrini, Quando la profezia diventa storia, p. 917).

Il profeta Ezechiele, nel descrivere la fine del re di Tiro, presenta la distruzione di Satana con queste parole: “Io faccio uscire di mezzo a te un fuoco che ti divori, e ti riduco in cenere sulla terra… tu sei diventato oggetto di terrore e non esisterai mai più” (Ez 28:18-19).

Per ricevere l’approfondimento dal titolo: “Il destino dell’uomo in Apocalisse” scrivere a: assistenza@avventisti.it

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