Per celebrare la Pasqua cristiana bastano due luoghi: le chiese e la vita dei singoli credenti.
Davide Romano – In prossimità della Pasqua cristiana ormai imminente, si sono moltiplicate nelle scorse settimane le iniziative dei parroci e dei vescovi cattolici volte a ottenere nelle scuole pubbliche la disponibilità e l’autorizzazione a officiare riti di benedizione pasquale e di preparazione quaresimale. Il pressing esercitato sui consigli di istituto e sui dirigenti scolastici è stato di notevole intensità, e non sono mancate le lagnanze a ogni diniego; lagnanze di cui danno conto con ineccepibile puntualità anche l’Avvenire, quotidiano dei vescovi, e alcuni quotidiani tradizionalmente conservatori.
Nella pubblicistica suddetta, lo scoramento iniziale lascia subito il posto ad amare considerazioni sul laicismo aggressivo che pervaderebbe ormai le nostre istituzioni pubbliche e sull’assoluta inoffensività dei riti di culto pasquali per gli alunni e per il personale scolastico.
Nondimeno, molte scuole hanno concesso una qualche autorizzazione a officiare i riti, magari in orari extrascolastici, suscitando, come di recente è accaduto a Bologna, la comprensibile irritazione di comitati di genitori e di insegnanti che sono ricorsi al Tar per ottenere un pronunciamento di merito sulla liceità di tali autorizzazioni, in quanto anche le attività extrascolastiche devono tener conto di un coerente criterio di non discriminazione e dovrebbero contemplare attività culturali e non strettamente religiose. Su quest’ultimo rilievo, tuttavia, bisogna osservare che la giurisprudenza amministrativa non sempre si è espressa in maniera uniforme.
Rimane comunque il dato che nel nostro paese “la famiglia” e “la scuola” rappresentano da sempre ambiti nei quali il cattolicesimo-romano pretende di esercitare un presidio e una influenza tendenzialmente egemone. E non basta assicurargli attraverso l’Irc (cioè l’ora di religione) un vistosissimo privilegio in seno all’organizzazione scolastica, provvedendo peraltro ad assumerne gli insegnanti selezionati attraverso una procedura decisamente sui generis, occorre anche garantire, secondo i nostri fratelli di maggioranza, un adeguato spazio di rappresentanza durante le feste comandate.
La categoria indigesta della “laicità” delle Pubbliche istituzioni, in ossequio alla pluralità delle confessioni e delle appartenenze che sempre di più va connotando la società italiana, non gode di particolare credito, anzi è sovente contestata e rintuzzata.
La Corte costituzionale, nell’ambito della sentenza 203/1989, ha inteso per parte sua precisare che il “principio di laicità quale emerge dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.
Se per un verso dunque la laicità non si traduce in idiosincrasia nei confronti di qualunque manifestazione pubblica del religioso, per altro verso nessuna confessione religiosa dovrebbe reclamare per sé prerogative esclusive ed egemoni degli spazi pubblici, visto che gli articoli predetti della Costituzione configurano un regime pluriconfessionale dell’Italia.
La scuola pubblica è la maggiore agenzia deputata a formare culturalmente i ragazzi e le ragazze che costituiranno nel prossimo futuro la cittadinanza adulta del nostro paese. Se in seno a essa sperimentassero occasioni di incontro e di dialogo non soltanto con la fede religiosa maggioritaria in Italia, cioè quella cattolica-romana, che è già ben rappresentata, ma con le altre confessioni cristiane, spesso misconosciute eppure oltremodo presenti, e con le altre religioni non cristiane, questo garantirebbe loro la formazione di una mentalità aperta, cordiale e culturalmente predisposta alla proficua “convivialità delle differenze” per dirla con le parole di don Tonino Bello.
Se nei prossimi anni le scuole prendessero esse stesse l’iniziativa di organizzare, non soltanto in periodo pre-pasquale, ma anche durante altri momenti dell’anno (in corrispondenza di altre feste religiose non cristiane, per esempio), piccoli incontri di dialogo e di conoscenza con rappresentanti di altre fedi, consentirebbero agli studenti di sperimentare un ambito di dialogo e di conoscenza non ritualizzato e fecondo ai fini della comprensione delle altrui radici. Sovente sono anche radici che in parte connotano la cultura europea.
Per celebrare la Pasqua cristiana, bastano in fondo due luoghi: le chiese e la vita dei singoli credenti. Non mi pare poco.