“L’uomo nasce libero ma ovunque è in catene”, scriveva Jean-Jacques Rousseau. La dipendenza dalle droghe è una realtà pervasiva e complessa che investe la società, chiesa compresa. Affrontarla richiede un approccio specialistico oltre ad attività qualificate di formazione e sensibilizzazione nelle comunità di fede

Laura Maria Oancea-Pascu – “Dipendente”, una parola che vorremmo non dover usare nelle conversazioni che riguardano noi stessi o chi ci sta vicino. Eppure, oggi la dipendenza è uno dei problemi più complessi e pervasivi affrontati non solo dalla società ma anche dalla chiesa, un problema che trascende le culture. [1][2]

Milioni di persone in tutto il mondo abusano di sostanze stupefacenti e psicotrope, considerate ad alto rischio.[3] L’uso di molteplici droghe è comune e i modelli individuali di consumo variano da sperimentale a regolare, fino alla dipendenza. L’entità dell’abuso di prodotti stimolanti e i tipi più comunemente usati si diversificano da Paese a Paese, ma ci sono sempre più evidenze di un possibile aumento dell’uso di eccitanti per via endovenosa.

Lacune nel collegamento con la prima linea 
La chiesa è preoccupata per “i suoi figli e le sue figlie, giovani promesse che, attraverso queste sostanze, si allontanano dalla famiglia, dai valori, dalla società e dalla chiesa, distruggendo loro stessi”, afferma il vicario patriarcale Ciprian Câmpineanul (della chiesa ortodossa in Romania ndr).

La tossicodipendenza è un problema affrontato da tutte le chiese in misura maggiore di quanto ci si possa aspettare. Nel novembre del 2019, la società di sondaggi LifeWay Research ha pubblicato uno studio in cui si chiedeva a 1.000 pastori protestanti come le loro chiese si stessero preparando a rispondere alla dipendenza da oppiacei di alcuni dei loro membri. “Più di due terzi delle chiese, anche le più piccole, hanno contatti con persone che abusano di oppiacei” e la metà dei pastori ha riscontrato questa problematica nelle comunità di cui si occupano.

È preoccupante che i pastori non sappiano esattamente come agire quando hanno a che fare con un tossicodipendente. Questo succede nonostante il fatto che le chiese siano in prima linea tra le organizzazioni non profit attivamente coinvolte nel recupero delle persone che hanno una dipendenza da droghe.

E c’è di più, perché alcuni pastori non riescono a comprendere le lotte interiori dei tossicodipendenti e non dispongono di un piano d’azione concreto per aiutare chi ne ha bisogno, sostiene Robby Gallaty, pastore della Long Hollow Baptist Church di Hendersonville, in Tennessee (Usa) e autore del libro Recuperato,[4] in cui racconta come abbia superato la dipendenza e intrapreso una vita di servizio nella chiesa.

Diverse denominazioni diventano sempre più consapevoli della necessità di rispondere al problema dell’abuso di sostanze stupefacenti. David Dunham, pastore, autore e consulente nell’ambito delle dipendenze alla Cornerstone Baptist Church di Roseville, in Michigan (Usa), ritiene che la chiesa debba essere in prima linea nella lotta contro le dipendenze, anche se questo ministero non è semplice perché il coinvolgimento è complicato, lungo e faticoso.

Come ci rapportiamo alla dipendenza? 
Sono molte le controversie relative al modo in cui dovremmo confrontarci con quella che chiamiamo “dipendenza”. È una malattia? È una questione morale, di forza di volontà o di autocontrollo? Non intendiamo risolvere qui questa disputa, ma è arrivato il momento di ammettere, come cristiani, che abbiamo la responsabilità di educare innanzitutto noi stessi sugli aspetti fisici, psicologici e spirituali della dipendenza, e di formare anche i membri delle chiese alle quali apparteniamo. Se siamo veramente sinceri nel nostro desiderio di comprendere meglio il tema della dipendenza, dovremo correre dei rischi e impegnarci di più.

Talvolta, alcuni cristiani conservano la visione tradizionale secondo cui i tossicodipendenti sono individui moralmente deboli e privi di motivazione per smettere.[5]

Quando hanno a che fare con i tossicodipendenti, costoro insistono sulla confessione, sul pentimento e sulla resistenza alle tentazioni come via per una vita “felice”, priva di dipendenze. Nell’ambito di questo approccio, ai tossicodipendenti è consigliato di intensificare lo studio della Bibbia e di dedicare più tempo alla preghiera per favorire l’astinenza.

Se questo metodo ha funzionato per un piccolo numero di persone, la stragrande maggioranza dei tossicodipendenti ha scoperto che, oltre alla preghiera e all’esercizio della volontà finalizzata all’astinenza, ha necessità di un aiuto specializzato.[6] La contraddizione principale e sconcertante deriva dal fatto che, dopo aver completato il programma specialistico di riabilitazione, i tossicodipendenti tornano in chiesa, entro un tessuto culturale i cui membri credono che la forza di volontà possa superare qualsiasi cosa, compresa la dipendenza, spesso equiparata al peccato.

In questo modo, i tossicodipendenti rientrano in un ambiente che reagisce alla dipendenza in modo contraddittorio rispetto al messaggio ricevuto durante la terapia: la dipendenza è una situazione dalla quale non si può uscire, per quanto lo si voglia, senza un aiuto specializzato e un supporto riabilitativo professionale. Legati sia alle catene visibili della tentazione di abusare di droghe, sia alle catene invisibili della mentalità della loro comunità di fede, i tossicodipendenti in via di guarigione che tornano in una chiesa con questo approccio, corrono un considerevole rischio di ricaduta.

Cambio di prospettiva 
L’approccio standard alla terapia sulle dipendenze consiste nell’ascoltare, nel creare fiducia, nell’indicare capacità di risposta e nella formazione. Tuttavia, per compiere tutto ciò in modo efficace e corretto, la chiesa deve aiutare i suoi dirigenti e i membri locali a comprendere la dipendenza, le sue particolarità o implicazioni.

Portare degli esperti in chiesa per fornire programmi di counselling e di formazione può rappresentare un primo passo molto importante per raggiungere l’obiettivo. I dipartimenti che in chiesa si occupano di salute e di educazione, inoltre, possono fornire le informazioni necessarie ai ministri di culto per sviluppare programmi formativi. In terzo luogo, le chiese dovrebbero fornire o indirizzare verso alternative salutari coloro che hanno lottato con alcune dipendenze.

Una delle cause principali della tossicodipendenza è il senso di vuoto. Se questa mancanza non è colmata in modo appropriato e opportuno, il tossicodipendente in via di ripresa troverà difficile abbandonare l’abitudine, rischiando di ricadere rapidamente dopo la riabilitazione.[7]

Un esempio di iniziativa per formare i credenti riguarda un progetto della Chiesa Avventista del Settimo Giorno che, con il Dipartimento per la promozione della Salute, ogni anno dedica un mese all’organizzazione di dibattiti e attività varie al fine di sensibilizzare i credenti sui rischi della tossicodipendenza.

Un’altra iniziativa che vale la pena promuovere al di là dei confini confessionali è l’Adventist Recovery Ministries (ArMin), un programma di riabilitazione avviato dalla denominazione per permettere ai dirigenti della chiesa di sostenere le persone che lottano contro la dipendenza o altri comportamenti compulsivi non benefici.

Il programma è nato come progetto degli avventisti del settimo giorno per porre fine alle dipendenze, nel gennaio del 1986, quando Hal Gates, avvocato e pastore di una piccola chiesa di Willapa Harbor, Washington, ha avviato un gruppo di sostegno comunitario per alcolisti e tossicodipendenti. Un anno dopo, Pat Mutch, allora direttore dell’Istituto di alcolismo e tossicodipendenza, invitò Gates alla Andrews University di Berrien Springs, in Michigan, per curare un corso sulle dipendenze. Riconoscendo il valore delle risorse illustrate, Pat Mutch decise di pubblicarle in un manuale, il Manuale per la rigenerazione, che ebbe poi una vasta distribuzione. Oggi l’ArMin Global è attiva in tutte le regioni del mondo.

La chiesa è, o dovrebbe essere, molto più di un luogo di culto. Dovrebbe trasmettere ai suoi membri un forte senso di appartenenza alla comunità, un aspetto che può essere prezioso per coloro che lottano contro la dipendenza. Per garantire le migliori condizioni volte alla costruzione di questo sentimento di appartenenza, è essenziale che la chiesa promuova e mantenga un dialogo sano e aperto con coloro che lottano contro la dipendenza e che fornisca alla comunità informazioni concrete sulla prevenzione, l’intervento, il trattamento e il recupero a lungo termine. Questa è l’unica via per evitare che il termine “tossicodipendente” finisca per qualificare voi, me e coloro che ci sono accanto.

Note 
[1] “Religious Factors and Drug Usage among Seventh-Day Adventist Youth in North America” (Fattori religiosi e uso di droghe tra i giovani avventisti del settimo giorno in Nord America), in Journal for the Scientific Study of Religion, vol. 26, n. 2, giugno 1987, p. 218.
[2] Ivi.
[3] Gabriel Pecheanu, “Noi substanţe stupefiante şi psihotrope adăugate pe lista substanţelor interzise în România” (Nuove sostanze stupefacenti e psicotrope aggiunte alla lista delle sostanze vietate in Romania), Mediafax, 30 novembre 2017.
[4] Robby Gallaty, Recovered: How an Accident, Alcohol, and Addiction Led Me to God (Recuperato: come un incidente, l’alcol e la dipendenza mi hanno portato a Dio), B&H Publishing Group, Tennessee, 2019.
[5] Rudi Maier, Church and Society: Missiological Challenges for the Seventh-day Adventist Church (Chiesa e Società. Sfide missionarie per la Chiesa Avventista del Settimo Giorno), Department of World Mission, Andrews University, Berrien Springs, MI, 2015, p. 71.
[6] Rudi Maier, op. cit.
[7] Thomas H. Cairns, art. cit.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

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