Anche le voci e le storie che cercano di tirare fuori il nostro meglio si perdono così facilmente nella mera molteplicità di informazioni che attirano la nostra attenzione. Come uscirne?

Nathan Brown – Viviamo in un mondo in cui le notizie sono molto più pervasive degli eventi che riportano. Un evento accade in un luogo ma viene ripetuto quasi istantaneamente e ripreso in milioni di altri. E mentre l’evento può essere scioccante, tragico o orribile, si richiede di più con analisi accurate, con l’intervento di opinionisti saccenti, con un ciclo incessante di notizie che è già alla ricerca del prossimo sensazionalismo prima che possa essere fatta qualsiasi analisi attenta o esserci una risposta emotiva in relazione alla notizia di attualità.

Hai mai pensato che sono le persone che ci vendono le notizie – insieme alla pubblicità – e che investono di più per renderle indispensabili? Sia che si tratti dei notiziari che si ripetono ogni ora con i loro frequenti aggiornamenti, sia dello scorrere delle notizie nella parte inferiore dello schermo TV, siamo esortati a credere che questo flusso di notizie sia vitale per ogni adulto attivo.

Ma anche quanto contano le notizie sul posto di lavoro, alle cene o nelle conversazioni sui social media ci ricorda il significato presunto dei titoli di prima pagina della giornata. In The News: A User’s Manual, il filosofo Alain de Botton sostiene l’idea del filosofo tedesco Georg Hegel secondo cui il predominio delle notizie abbia sostituito la religione “come nostra fonte centrale di guida e pietra di paragone dell’autorità. Nelle economie sviluppate, la cronaca occupa ora una posizione di potere almeno pari a quella di cui godevano prima le fedi”. Indica i telegiornali del mattino e della sera che mimano i riti devozionali delle generazioni precedenti ma, più significativamente, individua nella deferenza che diamo alla “notizia” una fonte di senso e persino di moralità nella nostra vita: “Anche qui speriamo di ricevere rivelazioni, imparare chi è buono e chi è cattivo, sondare la sofferenza e comprendere la logica dispiegata dell’esistenza. E anche qui, se ci rifiutiamo di prendere parte ai riti, potrebbero esserci imputazioni di eresia”.

Per quanto fuorviante sia, la gestione di tutto questo era più facile quando l’informazione arrivava semplicemente con il giornale del mattino, gli occasionali bollettini radiofonici durante il giorno, per finire con il telegiornale della sera. Ma ora il flusso non si arresta mai. Le notizie sono sui nostri telefoni, computer e altri dispositivi. Sono sempre con noi, sempre collegate, sempre le ultime notizie. Alla complessità si aggiunge la natura intrinseca delle notizie come selezione dell’assurdo. Intorno a noi accadono cose importanti, preziose, belle e buone ogni giorno, ma tante di queste non saranno mai “notizie”.

Invece, i notiziari celebrano la stranezza, la prima, la più grande, la più scioccante notizia, e mescolano le tragedie con le banalità delle celebrità, dei risultati sportivi e di che tempo farà domani, tanto che la maggior parte dei giorni è insignificante. È un cocktail sconcertante, selezionato più per la sua capacità di catturare e trattenere la nostra attenzione, che per un tentativo di sondare ciò che è importante nella vita e nella società. E, paradossalmente, non mantenendo mai la nostra attenzione, passando rapidamente da una storia o da un’idea all’altra.

Ci sono molti giornalisti che cercano di raccontare storie significative e degne di nota, eppure le voci ragionevoli sono spesso sommerse da quelle che assecondano le nostre paure, insicurezze e pregiudizi, e alcuni commentatori si guadagnano da vivere facendo proprio questo. Ma anche le voci e le storie che cercano di tirare fuori il nostro meglio si perdono così facilmente nella mera molteplicità di informazioni che attirano la nostra attenzione. De Botton contrappone la notizia alla religione in questo senso significativo: “Proprio come i telegiornali, le religioni vogliono dirci cose importanti ogni giorno, ma a differenza dei telegiornali, sanno che se ci dicono troppo, in una volta sola, e solo una volta, allora non ricorderemo – e non faremo – nulla”.

Ed ecco le domande chiave su cosa produce su di noi la sovraesposizione alle notizie. Le notizie, anche se solo per l’entità delle storie raccontate a metà, ci travolgono in un intorpidimento voyeuristico? Prendono a pugni i nostri cuori, rendendoci più isolati, ansiosi e trincerati, o ci spingono a una risposta compassionevole? Se la notizia è diventata la nostra presunta religione sociale, dobbiamo essere consapevoli dei valori che costruisce nella nostra vita e di come le nostre risposte siano vissute nelle nostre azioni. Ignorare il mondo che ci circonda non è certamente un’opzione. Grazie alle notizie, comprendiamo l’interconnessione di ciascuna di noi. Ma qualunque sia la nostra fede personale, dobbiamo riconoscere i modi in cui le notizie rivaleggiano con quei valori e priorità, e questo può essere difficile da fare quando siamo incessantemente richiamati all’attenzione dalle voci più forti dei media che ci circondano.

Non è un’eresia concludere che alcuni giorni possiamo semplicemente disconnetterci. Il mondo delle notizie continuerà senza di noi. Non dobbiamo sentirci in colpa per non avere ogni dettaglio di ogni tragedia, atrocità raccapricciante, atteggiamento politico o indiscrezione di una celebrità. Possiamo respirare a pieni polmoni nel mondo in altri modi più positivi.

Come conclude de Botton: “Una vita ricca richiede la capacità di riconoscere quando le notizie non hanno più nulla di originale o importante da insegnarci”. Sebbene le notizie possano essere di tipo religioso, raramente il tema di vivere bene e fedelmente si trova nei titoli dei giornali.

Nathan Brown è redattore di libri alla “Signs Publishing Company di Warburton”, Victoria. Una versione di questo articolo è apparsa per la prima volta sul sito web di Signs of the Times Australia/Nuova Zelanda ed è stata ripubblicata, dietro autorizzazione, qui.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

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