Michele Abiusi – Un episodio dei Vangeli che mi è sempre piaciuto leggere è quello riportato in Matteo 14:22-27, dove si racconta di Gesù che cammina sulle acque, mentre i discepoli combattono con il mare in tempesta. Nel vederlo gridano pensando che sia un fantasma, ma Gesù dice loro: “Coraggio, sono io!”.

Facciamo un passo indietro e ricordiamo insieme il contesto in cui si inserisce questo versetto. Gesù aveva appena parlato di fronte a cinquemila persone intervenute per ascoltarlo. I suoi discepoli lo avevano avvicinato dicendogli di congedare la folla affinché le persone potessero rifocillarsi nei villaggi vicini.

Gesù invece ribadisce: “Non hanno bisogno di andarsene. Date loro voi da mangiare”. Benedice cinque pani e i due pesci, vengono distribuiti e la folla viene saziata con questo cibo, tanto da consentire la raccolta di circa dodici ceste piene di pezzi avanzati del pranzo. Poi obbliga i discepoli a salire sulla barca e si allontana verso il monte per pregare.

Trasferiamoci per un attimo, con la nostra mente, a quel momento così ben descritto dal Vangelo di Matteo. Ci siamo anche noi con i discepoli, quella notte, su quella barca lontana dalla terra ferma, sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. È buio, vi è una tempesta in atto. Fa freddo, i discepoli si sentono soli, persi.

Il paragone suscitato da queste parole con la nostra vita e il mondo che ci circonda è immediato. Quante volte ci siamo trovati nel mezzo di una tempesta di situazioni, che sono poi gli episodi della vita. Malattie nostre, di persone a noi care, disperazione per incomprensioni con i propri fratelli, con la propria moglie o marito, o padre o madre, offese, mancanza di lavoro, invidie, gelosie, derisioni… La barca, immagine della nostra vita, è sbattuta tra le onde. Abbiamo perso il senso dell’orientamento. Siamo disperati.

Ormai il miracolo avvenuto quella mattina con la distribuzione di cinque pani e due pesci a cinquemila persone è solo un ricordo. In un attimo abbiamo quasi perso tutto e la nostra vita stessa è in pericolo. Sicuramente qualcuno invoca il Signore Gesù…

Siamo alla quarta vigilia, dalle 3 alle 6 del mattino, stanchi, deboli, sfiniti. Nell’ora della giornata in cui si dovrebbe riposare, i discepoli sono ancora lì, e noi con loro, sul mare. Sono nel frangente della vita in cui si è più vulnerabili. Nell’ora tremenda, nel momento massimo della nostra disperazione, il Signore viene verso di noi, con forza, con potenza.

Gesù appare ai discepoli in modo insolito. Cammina sul mare. Egli trascende i limiti umani, ha autorità sul creato. Si comporta come solo Dio può fare:
– “Da solo spiega i cieli, cammina sulle più alte onde del mare” (Giobbe 9:8);
– “Sei tu penetrato fino alle sorgenti del mare? Hai tu passeggiato in  fondo all’abisso?” (Giobbe 38:16).

La reazione dei discepoli è devastante: sono turbati, non riescono a riconoscerlo. Questo capita anche a noi. Quante volte nel momento della disperazione non riusciamo a riconoscere la presenza di Dio in quello che ci succede? Ci lasciamo prendere dalla paura. Abbandoniamo le nostre convinzioni, abbandoniamo anche la nostra fede, nel momento della prova…

Ma subito Gesù parla e dice: “Coraggio, sono io; non abbiate paura!” (Matteo 14:27). Avrebbe potuto comparire direttamente sull’altra riva e attendere i discepoli al loro arrivo. Ciò non avrebbe modificato in alcun modo l’evento miracoloso, potendo essere lì prima dell’arrivo dei discepoli con la barca. Ma il Maestro, invece, sceglie di apparire all’improvviso, durante la tempesta, e le prime parole che pronuncia sono per calmarli ed esortarli. “Coraggio, sono io, non abbiate paura”.

Cosa significa coraggio? Dal latino coraticum o anche cor habeo, è un sostantivo che deriva dalla parola composta cor-cordis, cuore, e dal verbo habere, avere: ho cuore; è la virtù umana, spesso indicata anche come fortitudo o fortezza, che rende capace, chi ne è dotato, di non sbigottire di fronte ai pericoli, di affrontare con serenità i rischi, di non abbattersi per i dolori fisici o morali e, più in generale, di affrontare a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l’incertezza e l’intimidazione.

Allora, qui il termine coraggio, posto accanto alle parole “sono io”, assume un significato diverso, forte. Quasi a voler scuotere il nostro animo, assopito, addormentato, smarrito e far sì che possiamo riconoscerlo.

“Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Il messaggio contenuto in queste parole afferma che, anche nella situazione più disperata della nostra vita, il Signore è pronto a sostenerci, è pronto a salire sulla barca della nostra esistenza e, con lui, possiamo realizzare ogni cosa. “Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica” leggiamo in Filippesi 4:13.

Coraggio, dice Gesù, ci sono io. Non abbiate più paura di affrontare la vita. Esiste la maniera, quotidiana, per non avere paura? Sì, esiste. Vi è una rotta che possiamo seguire ed è l’insegnamento di Gesù, presentato nella Scrittura. Così, anche quando “camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu [Dio] sei con me, il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza” (Salmo 23:4).

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