Cosa ho perso di Dio quando avevo 20 anni
4 Ottobre 2024

Come vivevamo la nostra relazione con il Signore quando eravamo giovani? Cosa avremmo voluto sapere allora, con il senno di poi?

Simona Condrachi – Avevo vent’anni quando mi sono incuriosita per la prima volta di Dio. Avevo la fortuna di vedere la sua presenza nella vita dei miei amici e desideravo averla anche io nella mia.
A quel tempo, l’ho scoperto come Creatore e Dio onnipotente. Ho abbracciato la sua parola, le Scritture, come principio guida della mia esistenza e sono stata disposta ad ascoltare e a sacrificare tutto ciò che mi chiedeva. Ho seguito tutti i comandamenti rivelati e ho sperimentato molte benedizioni che derivano dall’obbedienza. Ho stretto un’alleanza con lui [con il battesimo, ndr] e ancora oggi festeggio quel giorno ogni anno. Ciò che ho scoperto in passato mi ha sostenuto nei vent’anni successivi, ma ora mi rendo conto che conoscere alcuni altri aspetti mi avrebbe aiutato ancora di più.

Vorrei aver saputo che Dio mi vede e che questo è sufficiente. Avrei voluto convincermi allora che il Signore conosce la mia tristezza, le mie lotte, i miei dubbi, la mia confusione e tutto ciò che c’è dietro, e che si preoccupa. Mi sarebbe stato utile capire che quando non interviene subito, spesso è per darmi il tempo necessario per riflettere, crescere e affidarmi a lui, non perché non risponde o non lo ascolto.

Avrei voluto sapere che l’amore di Dio non mi mette in una bolla protettiva, ma piuttosto sostiene il mio processo di crescita continua. Avrei incontrato un Dio profondamente interessato alla mia vita quotidiana, a ogni minuto della mia giornata. Avrei trovato prima, nel mio percorso, un Dio che offre spazio e sostegno, anziché uno con una moltitudine di pulsanti da premere solo quando avevo bisogno di aiuto.

Vorrei aver saputo che il Signore non è solo un Dio di “doveri”, ma anche di indulgenza. Se l’avessi capito, il mio rapporto con lui sarebbe stato meno teso. Avrei vissuto più momenti di piccole gioie e soddisfazioni estemporanee. Avrei capito che Dio non si concentra solo sulle mie debolezze, offrendomi opportunità e consigli per superarle e crescere; vede anche i bisogni nascosti di cui non sono consapevole, i punti sensibili contro i quali ho lottato, ma che lui mi ha donato come benedizioni. Avrei capito che sono importante fin nei minimi dettagli e che non posso guadagnarmi il posto accanto a lui: la sua bontà entra nella mia vita indipendentemente da chi sono e da cosa faccio.

Avrei compreso prima che lo trovo nei momenti tranquilli della meditazione mattutina, nel cinguettio degli uccelli che mi fanno sorridere, nella pioggia che mi aiuta ad aprirmi, nelle sorprese della giornata. Avrei capito che Dio è così immenso da non poter essere confinato entro le forme e le regole che spesso ho creato per mantenere la santità e la devozione a lui. Avrei capito che Dio mi ama semplicemente perché è così, non per quello che sono.

Avrei voluto sapere che Dio ha, e userà, mille altri modi per reindirizzarmi dopo le mie scelte sbagliate. I vent’anni sono stati un’età di decisioni che all’epoca sembravano monumentali: le relazioni che ho stretto, la carriera che credevo giusta, il posto in cui ho scelto di stabilirmi. Gradualmente ho compreso che la vita è molto più dinamica nella realtà. Se avessi capito allora che è meglio agire con il rischio di sbagliare invece di rimanere fermi nell’incertezza, avrei scoperto che alcune cose diventano chiare solo quando ci si mette in movimento. Con più facilità avrei rischiato, iniziato progetti, avuto il coraggio e la curiosità di provare cose diverse. Sarei stata più libera di osare, di superare i limiti, di uscire dalla mia zona di sicurezza e di lasciar andare i cliché della vita.

Avrei potuto abbandonare prima certe situazioni o relazioni, in cui mi sono soffermata per senso di colpa o per il peso della responsabilità per gli errori commessi. Avrei capito più facilmente che Dio non spreca nemmeno una goccia del mio dolore; che le situazioni spiacevoli sono permesse per la mia crescita, offrendo opportunità di sviluppo, e che le persone con cui mi trovo in conflitto sono, in realtà, insegnanti di vita.

Avrei voluto sapere che Dio è immutabile ma io non lo sono. Avrei capito prima che il mio sviluppo personale sposta anche l’angolazione da cui percepisco Dio e che il cambiamento di prospettiva non deve spaventarmi, anche quando scopro aspetti sorprendentemente nuovi o contraddittori di Dio. Avrei accettato che quando non lo capisco o lo trovo incoerente, questo riflette semplicemente il punto in cui sono arrivata nel mio cammino. Mi sarei liberata più rapidamente dagli schemi basati sulla tradizione, abbracciando un punto di vista più ampio e sentendomi meno in colpa quando osavo credere in modo diverso da quello che avevo ereditato.

Vorrei aver saputo che per ogni cosa o persona che lascia la mia vita, rimane uno spazio per un’altra benedizione. Questa benedizione non è necessariamente equivalente a quella che ho perso, ma spesso è più adatta alle mie esigenze attuali. Tale prospettiva avrebbe lenito molte delle mie frustrazioni e incertezze. Mi avrebbe offerto la chiarezza di riconoscere il valore nascosto in ogni sfida, portandomi a un’accettazione più pacifica del cambiamento e incoraggiandomi a esplorare il nuovo con apertura e curiosità.

Avrei voluto sapere che anche se Dio è onnipotente, dipende comunque da me. Il Signore ha tutto sotto controllo, ma sono io che lo limito. Vorrei aver capito allora che quando non risponde nei modi che mi aspetto, sarebbe più utile guardare a ciò che devo ancora imparare, a quello che devo ancora fare, piuttosto che trovare scuse basate sui miei limiti o sulle mie debolezze. Questa comprensione avrebbe accelerato la mia crescita.

Avrei voluto sapere che Dio non ha mai fretta e capire che fa ogni cosa bella a suo tempo. Vorrei aver compreso che lui misura il tempo in modo differente da me e da voi. Avrei gestito più facilmente le pressioni sociali e familiari, avrei atteso con più fiducia le benedizioni che sembravano ritardare, mi sarei data più tempo per vivere il presente e avrei accolto le prime benedizioni con sorpresa anziché con paura.

Vorrei aver saputo che Dio ha il senso dell’umorismo. Ci sono state molte volte in cui ho trovato divertente vedere come le cose si allineavano inaspettatamente e favorevolmente nella mia vita. Purtroppo, ho spesso frainteso tutto questo considerandolo ironia da parte di Dio, pensando che stesse scherzando a mie spese. Mi riferisco a tutte quelle situazioni che mi hanno creato disagio o imbarazzo, portandomi alle stesse emozioni irrisolte. Ora, credo che quando riesco a non farmi sopraffare dalle emozioni che mi inibiscono e a fare un passo indietro per vedere le cose con maggiore chiarezza, mi rendo conto che Dio mi sta insegnando lezioni serie in modo sereno. Questa prospettiva mi aiuta ad accettarle più facilmente e mi impedisce di prendermi troppo sul serio, evitando il rischio di rimanere bloccata e apprezzando invece pienamente l’umorismo della situazione.

Vorrei aver saputo che Dio vede i bisogni dietro i miei peccati. Vorrei aver capito già allora che il problema del peccato è stato definitivamente risolto sulla croce. Vorrei aver riconosciuto che la presenza del peccato nella mia vita ora mi porta solo più vicino a lui, non più lontano; che affrontando il peccato, non faccio altro che riconoscere Dio come Signore e riconoscere il suo potere nella mia vita. Vorrei aver capito che l’esposizione al peccato crea opportunità per mettere ordine dentro di me, a livello di mentalità, emozioni, percezioni e decisioni. Vorrei aver capito che lo sguardo di Dio non vede solo in bianco e nero, ma è in grado di discernere un’infinita gamma di sfumature: che non mi giudica in modo semplicistico, in base alle azioni, come spesso faccio io, ma profondamente, in base ai progressi, all’atteggiamento, al desiderio e alla ricerca.

Mi domando cosa scriverò tra 20 anni. Fino ad allora, mi piace scoprire Dio.

(Simona Condrachi ha 43 anni ed è coach, madre e moglie. A 20 anni si preparava alla carriera diplomatica, studiando contemporaneamente in tre università. Quando si è avvicinata a Dio, ha capito che poteva occuparsi degli altri in un modo diverso. Anche se la diplomazia avrebbe potuto darle una base per aiutare le persone, Simona ha scelto di dedicarsi al servizio spirituale, spinta dal desiderio di vivere in modo autentico e di rispondere direttamente ai bisogni di chi la circonda).

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

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