Francesco Zenzale
– “Così parla il Signore, Dio: ‘Basta, o prìncipi d’Israele! Lasciate da parte la violenza e le rapine, praticate il diritto e la giustizia, liberate il mio popolo dalle vostre estorsioni!’, dice il Signore, Dio” (Ez 45:9).

Con uno sguardo retrospettivo sull’ordito amoroso tra Dio e l’antico Israele, leggendo queste parole penso ai genitori. Non a genitori perfetti, ma umani, fragili e desiderosi di offrire il meglio ai loro figli. Vederli crescere, accompagnarli per un lungo percorso di vita, preparandoli ad affrontare la vita, e poi lasciarli andare, perché a un certo punto del viaggio ci si rende conto che non ci appartengono, che il futuro, come anche il loro destino eterno, è nelle loro mani. Sono diventati come noi: responsabili in proprio (Ez 18:20).

Tutte le raccomandazioni, le ingiunzioni, i valori trasmessi attraverso la parola e l’esempio, fanno parte del loro curriculum vitae. e noi non possiamo più modificarli, semmai ci rendessimo conto che il qualche modo abbiamo sbagliato. Solo loro possono farlo se vogliono definire il futuro nella prospettiva eterna. C’è una cosa che possiamo fare: pregare. E se ce lo concedono, ascoltare.

Dio per Israele è stato non solo un buon Padre, ma anche il Creatore, colui che l’ha formato e gli ha dato un nome, dopo averlo riscattato (Is 43:1). Egli è stato unico nel suo genere: buono e perfetto (Mt 19:17; 5:48). “Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena d’urli e di desolazione. Egli lo circondò, ne prese cura, lo custodì come la pupilla dei suoi occhi” (De 32:10). Gli ha offerto il meglio di sé, facendogli “conoscere ciò che è bene” (Mi 6:8). E ora, in vista della venuta del Messia che avrebbe posto fine al sistema cultuale ebraico (Eb 10:1 e seg.), gli concede un periodo di tempo per prepararsi con senso di responsabilità: sarebbe stata l’ultima opportunità per continuare a essere protagonista come promotore del nuovo patto.

Israele disattese quell’appuntamento, non fece tesoro della Parola che era perfino diventata carne (Gv 1:14). Si sfracello su quella pietra che gli stessi “costruttori avevano edificata” (Mt 21:42), perdendo per sempre la gioia di essere “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19:6). Che tristezza!

Gli anni che Dio aveva accordato al suo popolo racchiudono in sé un alto senso di responsabilità personale e collettivo. Lo stesso vale per noi, che viviamo grazie alla misericordia di Dio, che si rinnova ogni giorno (La 3:22-23). Non saranno 490 anni, forse meno: non sappiamo quando Gesù ritornerà. Sicuramente, a livello personale, abbiamo uno spazio-vita limitato. Siamo consapevoli che la morte pone fine a ogni aspirazione e che le nostre opere, nel bene e nel male, come anche ogni scelta, determineranno il nostro destino eterno (Ap 20:12-13). Pertanto: “Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!” (Ap 1:3).

Per saperne di più: assistenza@avventisti.it

 

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