Francesco Zenzale – Nella precedente riflessione abbiamo avuto modo di accertare che Mika’el è Cristo, il figlio dell’uomo che si avvicina a Daniele con parole incoraggianti e gradevoli al cuore: “Allora colui che aveva l’aspetto d’uomo mi toccò di nuovo e mi fortificò. Egli disse: ‘Non temere, o uomo molto amato! La pace sia con te. Coraggio! Sii forte!’” (Da 10:19).

Il nome in sé, Mika’el, è latore di una sfida: “Chi è come Dio? Chi è simile a Cristo o al figlio dell’uomo?”. Una provocazione che nessuno nell’universo è in grado di raccogliere, neppure gli angeli. Perché nessuno può essere simile a Cristo se non colui che può affermare: “Io e il padre siamo uno” (Gv 10:30).

Questa sfida prorompe dal cielo e raggiunge l’uomo, per ricordargli che è una creatura, che deve accettare e imparare a vivere nel tempo e nello spazio che gli sono connaturali. Che non deve immaginare di essere Mika’el, accettando l’antica e ingannevole offerta del serpente: “voi sarete come Dio” (Ge 3:4).

Disgraziatamente, quest’umana condizione è stata disattesa dai nostri progenitori (Adamo ed Eva) e continua ad essere elusa. Si percepisce un’innata tendenza a vivere svincolati da Dio e dalla nostra antropica realtà. Vogliamo essere come Dio e godere di osannati riconoscimenti: lode, gloria, onore, ricchezza, applausi, ecc. Abbiamo imparato a manipolare l’altro e noi stessi, disarticolandoci dalla nostra umana esistenza. Abbiamo perfino cercato di modellare Dio, ma lui non si lascia comprare o ammaliare dalle nostre deliranti fantasie.

Scrive l’apostolo Paolo che solo “l’uomo del peccato” o l’avversario s’illude di essere come Dio e presumere di essere oggetto di culto e di adorazione (2 Te 2:4-8). In Apocalisse, alla “bestia che sale dal mare”, la profezia annota la seguente affermazione: “Chi è simile alla bestia?” (Ap 13:4). Chi è simile all’uomo del peccato, che proferisce parole d’orgoglio e bestemmie contro Dio e gli abitanti del cielo e che perseguita santi dell’altissimo? (Ap 13:5; Dn 7:25). La risposta è affermativa: “Tutti”. Perché la bestia, non raffigura solo un potere politico-religioso che si oppone a Cristo, ma anche l’estensione del nostro io e delle nostre fragili illusioni (Ap 13:7-8; cfr. 14:9).

L’uomo che ha scelto di onorare Dio, di rimanergli fedele fino alla morte (Ap 2:10), come Daniele, non pretende di essere simile a Dio. Vive il quotidiano con sofferenza, incomprensioni e a volte con senso di smarrimento. Le sue ginocchia vacillano, cade per terra e sviene (Da 8:27). Ma poi si rialza e riprende a interagire col cielo; perché Mika’el lo “tocca”, trasmettendogli vigore, energia e la gioia di essere alla presenza di colui che nessuno può eguagliare (Da 10:19; Ap 1:17). “I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano” (Is 40: 30-31). Solo Gesù è in grado di dare valore alla nostra vita. Di aprirci alla speranza, di guardare oltre le tenebre che avvolgono la nostra esistenza.

 

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