Francesco Zenzale
– “Io parlavo, pregando e confessando il mio peccato e il peccato del mio popolo Israele, e presentavo la mia supplica al Signore, al mio Dio, per il monte santo del mio Dio. Mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo, Gabriele, che avevo visto prima nella visione, mandato con rapido volo, si avvicinò a me all’ora dell’offerta della sera” (Dn 9:20-21).

È sorprendente come la Parola di Dio riesce a coniugare il passato, il presente e il futuro, come se fossero un tutt’uno. Gabriele, che Daniele “aveva visto nella prima nella visione” (Dn 8:15-27), dopo circa dodici anni si ripresenta per annunciargli la profezia delle settanta settimane (9:21-27). Dopo riappare a Zaccaria nel Nuovo Testamento, per comunicargli la nascita di suo figlio Giovanni Battista, affermando di essere Gabriele “che sta al cospetto di Dio” (Lc 1:19, Cei). Appare poi a Maria, alla quale rivolge un gentile saluto, annunciandole che da lei nascerà il Messia (Lc 1:26).

Gabriele disegna una linea di continuità, fra l’Antico e il Nuovo Testamento e fra l’antica e la nuova alleanza. Unisce il passato e il futuro, la profezia relativa a Cristo e la sua realizzazione; il santuario modello dell’opera redentiva e il suo compimento.

Ciò significa che il messaggio di Gabriele rivolto a Daniele riguarda la vittoria, la fine della desolazione e il trionfo della misericordia Dio. Si può cogliere questa prospettiva già nel nome. “Gabriel” è costruito sul verbo ebraico gbr (essere forti) che appartiene al vocabolario del guerriero, da cui deriva il termine gibor, eroe di guerra. Gabriele significa “l’eroe della guerra di Dio” o “Dio è forte o potente”, capace di dare scacco al male in tutte le sue conseguenze.

Gabriele si avvicinò al profeta “all’ora dell’offerta della sera”, tra le 3 e le 4 pomeridiane quando, nel tempio del Signore, il sacerdote offriva l’oblazione incruenta (senza spargimento di sangue) che accompagnava il secondo olocausto quotidiano, quello cruento (con spargimento di sangue). L’oblazione della sera e l’olocausto (Es 29: 41; Nu 28: 4-5), costituiscono un momento particolare per il popolo d’Israele, erano accompagnati dalla terza preghiera del giorno, la più importante. Fin dalla giovinezza Daniele ha osservato i tre momenti della preghiera quotidiana (Dn 6:10; Sl 55:18).

È significativo rilevare come la visione ruota intorno al santuario, all’olocausto serale, sacrificio che veniva bruciato interamente (olocausto deriva dal greco ed è una parola composta da hòlos, “tutto, intero”, e kàiō, “bruciare”), in un’ora particolare della giornata, che corrisponde all’ora nona (le 15.00), la stessa in cui Gesù morì. “Dall’ora sesta si fecero tenebre su tutto il paese, fino all’ora nona. E, verso l’ora nona, Gesù gridò a gran voce: ‘Elì, Elì, lamà sabactàni?’, cioè: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ […]E Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito” (Mt 27:45-46,50).

In breve, il fatto che l’angelo si presenta a Daniele “all’ora dell’offerta della sera”, acquista un valore esistenziale, cristologico e escatologico. Esistenziale, perché la presenza di Dio è assicurata in ogni istante della nostra vita sia nel riposo della notte, sia nel sonno della morte. Paolo scrive: “sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore” (Rm 14:8; Gv 11:25; Sl 139: 7-8). Cristologica, perché Cristo si offrì in olocausto per la redenzione degli uomini (Ef 5:2; 1 Gv 2:2). Escatologica, perché il sacrificio di Cristo è unico, irripetibile e vissuto nella promessa della beata speranza del suo ritorno (Eb 9:27-28; Eb 10:12; Gv 14:1-3).

Per saperne di più: assistenza@avventisti.it

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