Francesco Zenzale – “Tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro sino al tempo della fine. Molti lo studieranno con cura e la conoscenza aumenterà” (Da 12:4).

L’idea di scrivere un libro per poi metterlo da parte per chissà quanto tempo è inusuale. Un libro, così indispensabile per la salvezza, si scrive per essere pubblicato e non per lasciarlo impolverare per secoli. Perché Daniele è invitato a sigillare il libro? Perché il contenuto profetico–esistenziale riguarda il tempo della fine (cfr. Da 12:4, 9), l’ultima fase della storia dell’umanità, che è iniziata nel 1844 d.C. a conclusione della profezia cronologica delle 2.300 sere e mattine (cfr. Da 8:14). Per questo motivo Daniele non comprende pienamente il significato delle visioni (cfr. v. 8).

Questa chiosa ci permette di evidenziare che non è “il libro o tutte le parole” a essere state “sigillate o nascoste”, ma solo le profezie che concernono il tempo della fine. La profezia che ha avuto inizio in Daniele 11:2, e quella dell’ottavo capitolo, precisamente delle 2.300 sere e mattine (cfr. Da 8:14), perché entrambe si riferiscono a un tempo lontano o della fine (cfr. Da 8:17, 26; 12:4, 9). Infatti, non ha senso sigillare o nascondere i primi sei capitoli, dal genere letterario narrativo. E neanche parte dei capitoli sette e ottavo, perché Daniele svolge la sua missione profetica a cavallo dell’Impero babilonese e di quello medo-persiano.

Oltre a queste fondamentali considerazioni, è saggio evidenziare alcuni importanti insegnamenti:

1. Il fatto che molti studieranno le profezie riguardanti gli ultimi giorni, acquisendo maggiore conoscenza, non significa necessariamente che ne faranno un saggio uso. La conoscenza in sé non è garanzia di saggezza e di sana applicazione profetica. Solo i saggi capiranno il reale significato profetico, facendone un buon uso in vista della parusia (v.10).
2. Esiste un’evidente corrispondenza fra le profezie di Daniele e l’Apocalisse (Da 7; Ap 13:1-3); ciò si evince anche in relazione alla comprensione delle profezie che dovevano rimanere nascoste fino al tempo della fine. Nel decimo capitolo dell’Apocalisse, l’angelo potente che si presenta a Giovanni ha nella mano un “libretto aperto”. Questo libro aperto è da considerarsi come la porzione del libro di Daniele che doveva essere mantenuta segreta e sigillata sino al tempo della fine.
3. Considerando che la sua apertura si colloca a conclusione della profezia delle 2.300 sere e mattine (anni), è importante osservare che sul finire del XVIII secolo e agli inizi del XIX, si manifestò un insolito interesse verso le profezie di Daniele e dell’Apocalisse, in aree geografiche distanti l’una dall’altra. Lo studio delle suddette profezie condusse alla convinzione diffusa che il secondo avvento di Cristo fosse vicino. Numerosi espositori in Inghilterra, Joseph Wolff in Medio Oriente, Manuel Lacunza nel Sudamerica e William Miller negli Stati Uniti, insieme con una schiera di altri studiosi delle profezie, dichiararono, sulla base del loro studio, che l’umanità si avviava verso il ritorno di Cristo.
4. “Il tempo della fine” è periodo che non possiamo calcolare o determinare con esattezza. Pur sapendo che siamo nella fase ultima dell’esperienza umana, non sta a noi parlare di “immediatezza” del ritorno di Cristo, cercando di indicare delle date anche se generiche (cfr. Mt 24:36). Piuttosto, è nostra responsabilità vegliare e pregare per non cadere nella tentazione di credere e annunciare che Gesù tornerà fra un anno, cento o mille anni. Dobbiamo vivere la salvezza “un giorno la volta”, perché il domani non ci appartiene!

In tal senso, il significato esistenziale della profezia non è tanto quello di alimentare l’attesa della beata speranza, promuovendo comportamenti radicali, ansiogeni o inutili preoccupazioni, bensì di vivere Cristo, dando al “presente” un valore santificante ed escatologico. “Infatti, la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunciare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù” (Tt 2:11-13).

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