Francesco Zenzale – “Il ventiquattresimo giorno del primo mese, mentre mi trovavo sulla sponda del gran fiume, che è il Tigri, alzai gli occhi, guardai, ed ecco un uomo, vestito di lino, che aveva ai fianchi una cintura d’oro di Ufaz. Il suo corpo era come crisolito, la sua faccia splendeva come la folgore, i suoi occhi erano come fuoco fiammeggiante, le sue braccia e i suoi piedi erano come il bronzo splendente e il suono della sua voce era come il rumore d’una moltitudine” (Da 10:4-7).

Nel nono capitolo, la rivelazione si sofferma sul Mashiach Nagîd sofferente che sarà soppresso. Un atto cruento mediante il quale l’unto del Signore ha posto fine al rituale ebraico e avviato il nuovo patto (Da 9:26-27; cfr. Is 53). Si tratta di un’immagine umana, violenta e incompleta del Messia, perché si sofferma sulla prima parte del progetto salvifico. Di fatto manca l’aspetto vincente e glorioso del Messia-Principe: la risurrezione, l’ascensione, l’intronizzazione e la beata speranza del suo ritorno, quando risorgeranno i morti e il regno di Dio trionferà.

Nel decimo capitolo di Daniele evidenzia quest’ultimo aspetto. La visione è sovrannaturale, come è giusto che sia, e illustra il proposito divino relativo al futuro e una realtà diversa dalla nostra: quella celeste. Questa dimensione la si può cogliere per fede e per immagini apocalittiche che raffigurano il movimento di Dio nella realizzazione del suo progetto di redenzione. Ciò significa che il credente è invitato a orientare il pensiero verso il cielo (Cl 3:1-4), cercando di carpire il modo in cui Dio interagisce con il mondo e con i suoi figli, fino a quando colui che è stato assunto in cielo tornerà allo stesso modo in cui è salito (At 1:11).

In questa maestosa e surreale visione, Gesù si presenta come sommo sacerdote. Ciò lo si evince dal fatto che “l’uomo”, chiaro riferimento al figlio dell’uomo del settimo capitolo (Da 7:13), è “vestito di lino” e con una “cintura ai fianchi” (10:5). Questa immagine mobilita la nostra attenzione al Kippur ebraico, al giorno in cui il sommo sacerdote entrava nel santissimo per intercedere in favore del popolo durante la purificazione del santuario, correlativa alla rimozione definitiva dei peccati accumulatisi durante l’anno (cfr. Lv 16:4,23; Es 28:4,5,8). Un rituale tipologicamente ciclico, che rappresentava il tempo in cui Dio inaugurerà il suo regno, ponendo fine allo status attuale di peccato.

L’insieme della visione descritta con eccezionale intensità e luminosità, che descrivere il carattere straordinario di Gesù, non è un prerogativa del libro di Daniele. “Ritroviamo quegli stessi elementi anche in Ezechiele (cap. 1): il lampo (vv. 14,28), il crisolito (v. 26), il rame splendente (vv. 7,27), il fuoco (vv. 13,28), la voce di una moltitudine (v. 24). Ezechiele scrive: ‘Era un’apparizione dell’immagine della gloria del Signore’ (1:28). Una scena simile si trova anche in Apocalisse (cap. 1): il personaggio veste gli abiti del sacerdote, con una cintura d’oro (v. 13); anche in questa descrizione i suoi occhi brillano di fuoco, le sue gambe sono come rame; la sua voce come tuono simile a una folla (v. 15). Il personaggio si identifica con un essere divino: «Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e del soggiorno dei morti» (1:17,18). Il linguaggio evoca chiaramente Gesù Cristo così come viene descritto qualche versetto precedente nello stesso capitolo: «Primogenito dei morti» (v. 5), «alfa e omega» (v. 8)» (Jacques B. Doukhan, I SEGRETI DI DANIELE, Ed. Adv. Firenze 2014, p. 196).

In breve, il Gesù che si presenta ai nostri amici (Daniele, Giovanni e Ezechiele) ci invita a oltrepassare la croce e  la tomba (Pasqua in ebraico Pesah, dal verbo pâsah, che significa “passare oltre”  – Es 12:12,13-23). Il Gesù che noi cerchiamo, che è stato crocifisso e sepolto «è risorto, non è qui», ovvero nel sepolcro (Mc 16:6). Perciò non ha senso cercare «il vivente tra i morti» (Lc 24:5) e indugiare incessantemente sulla croce con angosciosa costernazione. Volgiamo lo sguardo al cielo «dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» e pensiamo «alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3: 1-2).

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