Francesco Zenzale – “Egli mi disse: Non temere, Daniele, poiché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di capire e di umiliarti davanti al tuo Dio, le tue parole sono state udite ed io sono venuto a motivo delle tue parole” (Da 10:12).

Nel libro biblico di Michea, Dio invita quelli che hanno imparato ad apprezzare il suo amore a “praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Mi 6:8, Cei). Credo che Daniele abbia pienamente soddisfatto questo desiderio di Dio. Indubbiamente il primo a trarne vantaggio è stato il profeta stesso, se consideriamo lo svolgimento del suo percorso di vita e il compiacimento di Dio, il quale con trasporto emotivo gli dice che è “molto amato”.

A questi tratti caratteriali, il testo introduttivo della nostra breve riflessione ne aggiunge un altro: il desiderio di capire. La volontà di comprendere è intimamente legata all’umiltà, alla consapevolezza che vi è sempre qualcosa da imparare, da afferrare, nonostante la saggezza acquista nel corso degli anni. Con Dio e con la vita non si finisce mai di studiare. In tal senso gli orizzonti del sapere si ampliano e si arricchiscono.

L’angelo fa presente che le parole di Daniele “sono state udite” dal cielo, che è stato inviato da Dio “a motivo delle sue parole”. Ciò significa che Dio non risponde perché incentivato dalla moltitudine delle parole o per le spasimanti preghiere, ma per il loro contenuto. In altre parole, Dio non è interessato tanto al lessico o al tempo che dedichiamo alla preghiera, quanto alle motivazioni o a ciò che le parole esprimono.

“Parole parole” è uno dei grandi successi discografici di Mina. Fu interpretata dalla cantante in coppia con l’attore Alberto Lupo (voce recitante). Un duetto il cui tema è una storia d’amore che si trascina vuota e senza passione, riempita solo da vane parole e lodi melense. Lei reagisce ai futili complimenti dicendo che preferirebbe gesti d’affetto concreti, ma lui rimane sordo e resta in contemplazione della sua amata.

Anche noi, forse, ci troviamo nella stessa condizione della voce narrante. Parole ampollose, assillanti, incongruenti, puerili e distanti dalla propria e altrui realtà, e dal cielo. Prive di concretezza e di quella determinazione tale da permettere allo Spirito Santo di cambiare veramente la nostra vita o di avere la gioia di ascoltare le medesime parole che Dio rivolse a Daniele: “uomo grandemente amato […] io sono venuto a motivo delle tue parole”.

Ho l’impressione che si dia poca importanza al contenuto o al significato delle parole e, per trasposizione, anche al parlare di Dio. La stessa liturgia è sminuita dalla moltitudine di parole che fluiscono non da un cuore consapevole del loro significato, ma da una ritualizzata abitudine (cfr. Pr 29:20; Ec 3:7). In tal senso la parola acquista una valenza negativa anche agli occhi di Dio (cfr. Mt 6:7-8).

Che il nostro “parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come… rispondere a ciascuno” (Cl 4:6). Impariamo a parlare e ad agire «come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà» (Gm 2:12).

 

 

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