Il PapaPubblichiamo in anteprima l’articolo che uscirà sul numero di marzo del mensile “Il Messaggero Avventista” (pp. 7-10). L’autore è Giuseppe Marrazzo, direttore della rivista, organo ufficiale dell’Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno. 

Ratzinger: “Rinuncio al ministero petrino”. A sorpresa il papa annuncia le sue dimissioni per il bene della Chiesa

La mattina dell’11 febbraio, giorno festivo per lo Stato del Vaticano, durante un Concistoro ordinario pubblico indetto per alcune cause di canonizzazione, il papa ha dato un annuncio importante ai numerosi cardinali presenti e stupiti: “Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Il discorso è stato presentato in latino, ma di seguito troviamo la traduzione del testo diffuso dalla sala stampa della Santa Sede.

L’annuncio
“Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.

Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.

Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice (…). Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio” (Benedetto XVI).

Per padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa, questa particolarissima circostanza è prevista dal Codice di Diritto Canonico, al canone 332 e paragrafo 2, dove si legge: “Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità, che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata. Non si richiede invece che qualcuno la accetti”. Le due condizioni sono state espletate: piena libertà e annuncio dato durante una manifestazione pubblica. Il papa Joseph Ratzinger rimane in carica fino alle 20,00 del 28 febbraio; dopo quella data si trasferirà per un breve soggiorno a Castel Gandolfo e in seguito, appena saranno completati i lavori, ritornerà nel monastero di suore di clausura al Colle del Vaticano, dove si dedicherà alla preghiera.

Fatto nuovo
Nella storia il caso più eclatante delle dimissioni papali fu quello di Celestino V, al secolo Pietro di Morrone (Abruzzi), eletto papa il 5 luglio 1294, ma lasciò l’incarico 3 mesi e 15 giorni dopo. L’idea dell’abdicazione nacque “per causa di umiltà”, come lui stesso afferma, “di perfetta vita e preservazione della coscienza, per debolezza di salute e difetto di scienza, per ricuperare la pace e la consolazione dell’antico vivere”. Non è questo il caso di papa Benedetto XVI, oggi le circostante sono completamente diverse né è possibile pensare che il papa lasci per sfuggire a qualche gravosa responsabilità. Le sue parole sono estremamente coraggiose e per un certo senso innovative: “Ben consapevole di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di vescovo di Roma». Una novità talmente dirompente da lasciare i suoi più stretti collaboratori pieni di stupore. Il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, ha pronunciato parole affettuose: “Il suo commosso messaggio ha risuonato in quest’aula come un fulmine a ciel sereno; l’abbiamo ascoltato con senso di smarrimento, quasi del tutto increduli”. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, ha detto: “Ancora una volta Benedetto XVI ha offerto un esempio di profonda libertà interiore»; ha poi espresso sentimenti di «profonda gratitudine e affettuosa vicinanza dei vescovi italiani per l’attenzione costante che ha avuto per il nostro Paese e per la guida sicura e umile con cui ha indirizzato la barca di Pietro”. L’arcivescovo di Vienna, cardinale Christoph Schönborn ha affermato: “Sono molto dispiaciuto. Ci troviamo di fronte a una dimensione completamente nuova”.

Ci sono state reazioni anche nel mondo protestante. Il teologo valdese Paolo Ricca ha così commentato le dimissioni di Ratzinger: “Devo ammettere che da un po’ di tempo mi stupiva il silenzio del papa. Un silenzio strano. Solitamente eravamo abituati a pontefici decisamente più loquaci. Mi chiedevo se per caso non fosse per una possibile malattia, e spero sinceramente che di questo non si tratti. Certamente questa dichiarazione è un fatto nuovo, direi positivo. La notizia è troppo fresca ed è arrivata davvero all’improvviso…”.

Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di Roma e coordinatore della Commissione valdese e metodista per le relazioni ecumeniche, ha commentato: “Non è facile, a pochi minuti dalla notizia, andare al di là dell’espressione di una profonda, e anche ammirata, meraviglia. È evidente che, al di là delle conseguenze immediate, peraltro notevolissime, il gesto ha una portata storica. Come cristiano e ministro della chiesa, mi colpiscono due elementi: in primo luogo, naturalmente, la lucidità umana e spirituale che la decisione di Benedetto XVI esprime; poi l’idea, espressa quasi di passaggio, secondo la quale il suo ministero, che pure richiede le forze fisiche che egli ritiene di non avere più, si esercita ‘non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando’. Un messaggio significativo per tutti coloro che tentano, nella loro debolezza e con molti errori, di servire la propria chiesa”. Da New York dove si trova in visita al Wcc presso le Nazioni Unite, dr. Olav Fykse Tveit, segretario generale del World Council of Churches, ha detto: “Dobbiamo provare profondo rispetto per la decisione di Benedetto XVI. Ho visto con quanto senso di responsabilità ha assolto l’incarico nonostante l’età avanzata in un momento di forte sollecitazioni”.

L’agenzia Interfax riporta il primo commento del Patriarcato di Mosca: “Le relazioni fra ortodossi e cattolici non cambieranno in seguito al cambiamento del Pontefice”. L’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, primate della Comunione anglicana, spiega di aver appreso della rinuncia “con cuore afflitto” ma dichiara la sua “completa comprensione” nei confronti della scelta del Papa. Il rabbino capo d’Israele, Yona Metzeger, ha lodato il ruolo di Benedetto XVI sottolineando come durante il suo pontificato “vi siano state le migliori relazioni mai avute fra la Chiesa e il Rabbinato”.

Alla notizia delle dimissioni del papa non sono mancate le reazioni dei leader internazionali: “Il governo tedesco reagisce con emozione e turbamento”, ha detto il portavoce dell’esecutivo di Berlino. “Il governo tedesco ha il massimo rispetto per il Santo Padre, per ciò che ha fatto, per il contributo della sua vita a favore della Chiesa cattolica”, ha dichiarato Steffen Seibert, portavoce di Angela Merkel. Più tardi lo stesso Cancelliere ha commentato “una notizia che emoziona”, sottolineando il suo “più grande rispetto” per la decisione. Anche il presidente francese Francois Hollande ritiene che la decisione di Benedetto XVI sia “altamente rispettabile”. Per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è trattato di un “gesto di grande coraggio”.

Momento di transizione
Tutti ricordiamo gli ultimi momenti di vita di Giovanni Paolo II che, malato e anziano, ha portato fino in fondo la gravosa responsabilità. Molti cattolici fecero commenti lusinghieri verso la fermezza e il coraggio manifestata dal papa addossandogli quasi una figura cristica: “Non si scende mai dalla croce”. È probabile che i commenti al gesto di Ratzinger saranno altrettanto lusinghieri poiché dal momento in cui ha maturato la consapevolezza di non possedere più sufficienti energie per portarlo a termine, ha preferito il gesto storico.

Quando un papa invecchiando non riesce ad assolvere il suo mandato e poiché il suo ministero viene esercitato fino alla sua morte, per forza di cose, succede che il governo della chiesa sia garantito da gruppi di pressione all’interno della Santa Sede. Come è infatti avvenuto, in un certo senso, al termine del pontificato di Wojtyla nel campo ecumenico. A pochi mesi della firma della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione per fede con i luterani (1999), ci fu un testo di completa chiusura con la dichiarazione Dominus Iesus, in cui si affermava che le chiese legate alla Riforma “non sono Chiese in senso proprio”.

Joseph Ratzinger, questa volta da pontefice, con il suo gesto coraggioso e innovativo, ha sparigliato le manovre politiche che la diplomazia della Santa Sede comincia a tessere intorno a un papa anziano e indebolito dagli anni. Forse ha saputo cogliere con lucidità il momento opportuno per rimettere la guida della chiesa cattolica nelle mani di un successore in grado di poterla assicurare “con il vigore sia del corpo sia dell’animo”.

L’Angelus del giorno prima
Domenica 10 febbraio, la vigilia dell’annuncio delle dimissioni, Joseph Ratzinger ha dedicato l’Angelus alla vocazione dei discepoli rievocando il ben noto brano della pesca miracolosa. Simone ubbidisce al comando del Maestro e getta la rete in mare in pieno giorno, riempiendo le reti di una quantità incredibile di pesci. Il Vangelo sottolinea come i primi discepoli di Gesù si fidassero di lui e prendessero sul serio la sua parola. Parlando di Pietro il papa afferma: “L’esperienza di Pietro, certamente singolare, è anche rappresentativa della chiamata di ogni apostolo del Vangelo, che non deve mai scoraggiarsi nell’annunciare Cristo a tutti gli uomini, fino ai confini del mondo”. E in conclusione evoca momenti di difficoltà e di sfiducia e dice: “…la debolezza umana non deve far paura se Dio chiama. Bisogna avere fiducia nella sua forza che agisce proprio nella nostra povertà; bisogna confidare sempre più nella potenza della sua misericordia, che trasforma e rinnova”.

È proprio il tema del “debole servitore di Dio” che in maggio 2005, nella basilica di San Giovanni in Laterano, durante la Messa di insediamento sulla cattedra di vescovo di Roma, Joseph Ratzinger evoca con profonda sincerità: “Colui che è il titolare del ministero petrino deve avere la consapevolezza di essere un uomo fragile e debole – come sono fragili e deboli le sue proprie forze – costantemente bisognoso di purificazione e di conversione… Io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana”.

Un suggerimento
Come cristiani avventisti siamo consapevoli che molte delle posizioni della chiesa cattolica, inclusa quella relativa alla figura papale, poco si conciliano con il messaggio biblico e soprattutto con il Nuovo Testamento. Ci auguriamo che la crisi della chiesa possa aiutare le gerarchie cattoliche a riformattare alcune questioni relative al suo governo. Occorre lucidamente prendere coscienza che non esiste, se mai sia esistito, un unico “mondo cattolico”. Esistono tanti “mondi” cattolici frammentati, suddivisi tra progressisti e conservatori, cattolici di base e cattolici lefebvriani, aperti alle novità e chiusi graniticamente legati a strutture marmoree. Per tenere insieme pianeti così diversi non basta più la tiara papale. Forse si potrebbero scrostare quei depositi che la storia ha stratificato anche sulle sante istituzioni e riaprire la questione conciliare già affrontata a Costanza nel XV secolo. Il papa smetterebbe così di essere un monarca assoluto che parla in modo infallibile quando si esprime ex cathedra, non sarebbe più incarico sacrale e potrebbe diventare una figura più simile a un Segretario Generale che si prefigge di far conoscere l’amore di Dio accogliendo quella “polifonia” e quel pluralismo che hanno caratterizzato la chiesa delle origini.

 

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