Francesco Messina – Questo fine settimana, dall’8 al 10 marzo, ho avuto la possibilità di partecipare all’incontro organizzato dal dipartimento Ministeri Personali dell’Unione avventista Italiana su un «nuovo» modo di annunciare il messaggio del Vangelo nella società che ci circonda, con la creazione di «Centri di speranza» nelle nostre città.
Il programma è stato serrato tra interventi video del fratello Gary Krause, direttore di Adventist Mission alla Conferenza Generale, e gruppi di lavoro e di riflessione che mi hanno insegnato qualcosa di antico, ma anche molto innovativo: Gesù sapeva bene come toccare il cuore delle persone, più di noi uomini d’oggi.

Torno nella mia chiesa con la consapevolezza che l’evangelizzazione non deve essere una strategia, che gli altri non sono prede da catturare, ma persone da amare, da ascoltare e a cui dare la nostra disponibilità. Attraverso la creazione di piccoli gruppi e la partecipazione di persone che ci credano e investano il loro tempo, è possibile che le chiese locali diventino poli sociali che vadano incontro a bisogni concreti nelle proprie città. L’invito è quello di essere sale della terra e nella terra, a mischiarci con gli altri senza avere la paura di contaminarci perché la nostra identità non è un’etichetta, ma uno stile di vita.

Ringrazio il Signore per questa possibilità di confrontarci. A volte, ciò che può sembrare la scoperta dell’acqua calda, in realtà è qualcosa di innovativo e rivoluzionario in una chiesa forse troppo ancorata alla propria tradizione e a un linguaggio ormai vecchio.

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