agape_logo_large-ANon c’è sostantivo più bello e più ambiguo. «Amare» vuol dire piacere, tenere in onore, trattare con gentilezza, con riverenza, gradire, essere soddisfatto.

Nel primo Testamento, l’amore non indica solo il rapporto dei sessi ma anche il legame di sangue, o spirituale, degli uomini tra loro: paternità, maternità o amicizia. «Amare», in senso ampio, designa la radice della convivenza sociale: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». L’altro non è una minaccia ma colui che deve essere accolto e trattato con rispetto, riconoscendogli gli stessi diritti. La legislazione sociale coglie questa preoccupazione e si occupa anche dell’accoglienza degli stranieri.

Nel secondo Testamento, l’amore è un concetto centrale capace di racchiudere l’intero contenuto della fede. L’azione di Dio è fondata sull’amore e attende dall’uomo la sua risposta d’amore. Non vi troviamo l’amore erotico, come è invece ben documentato tra i profeti e nel Cantico dei cantici. L’accento viene messo sull’agape, vero fondamento delle relazioni tra gli esseri umani e con Dio.

Nel Sermone sul monte, Gesù esalta le virtù dei cittadini del regno di Dio, tra cui anche l’amore per i nemici. L’interrogativo che tutti ci poniamo è sapere se questa parola straordinaria, «Dio è amore», possa avere ancora un senso o se, con il nostro agire e le nostre parole, per non parlare di orrori, odio, guerre, fame, non abbiamo tolto credibilità a questa parola rivoluzionaria. Il compito dei credenti è quello di imparare a coniugare il verbo «amare» imitando Gesù. Nella storia della cristianità l’emulazione di Cristo ha sempre scatenato le forze creatrici al servizio degli altri.

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