Angel Manuel Rodríguez* – Permettetemi di affrontare la questione del contesto in Daniele 1:3-21, e nel fare ciò risponderò alla domanda specifica.

La caduta del regno di Giuda e la deportazione di molti Israeliti a Babilonia esposero la loro fede a nuove sfide. Erano in una terra con cultura e convinzioni religiose molto diverse. Era quindi difficoltoso per loro praticare la propria fede religiosa.

1. Assimilazione culturale. L’intento del re babilonese era quello di far scivolare lentamente la fedeltà dei giovani ebrei dal loro Dio ai suoi dei, quindi da Gerusalemme a Babilonia. Era questo l’obiettivo delle componenti professionali e psicologiche del programma di formazione di Daniele e dei suoi amici.

In primo luogo, il loro senso di autostima era stato potenziato facendoli andare nel palazzo reale ed entrando così a far parte dell’élite intellettuale. Questo potrebbe facilmente aver creato in essi un senso di accettazione in un paese straniero e di gratitudine verso il re perché si fidava di loro.

In secondo luogo, dovevano essere istruiti nelle lingue e letterature di Babilonia. Daniele forse parlava già diverse lingue, ma avrebbe dovuto imparare almeno l’aramaico e l’accadico per comunicare con gli altri e leggere la letteratura che si occupava di scienza (come matematica e astronomia), musica e religione (come mitologia, divinazione e astrologia), ed essere indottrinato sulla visione del mondo babilonese. Il resto del libro di Daniele dimostra che tale azione d’indottrinamento non ebbe successo. In terzo luogo, l’assimilazione culturale iniziò mutando l’identità dei quattro ebrei con nomi che includevano i nomi delle divinità babilonesi (Daniele 1:7). In questo modo, il loro impegno personale per il Signore era minacciato. È interessante notare che l’ortografia ebraica dei nomi babilonesi sembra aver intenzionalmente danneggiato i nomi originali, mostrando in questo modo la loro resistenza all’assimilazione culturale e religiosa.

2. Scelta dell’alimentazione. Il re aveva deciso la dieta di Daniele e dei suoi amici. Questo sarebbe stato considerato un privilegio e uno dei vantaggi che comportava il frequentare l’Università di Babilonia. Le pietanze erano fornite dal re. Sappiamo che i re babilonesi non solo provvedevano le razioni alimentari giornaliere ad alcuni dei loro ufficiali, ma anche le strutture abitative. Il testo biblico sembra suggerire che gli alimenti portati a Daniele e ai suoi amici facessero parte del cibo preparato per il re stesso: era quanto di meglio Babilonia potesse offrire. L’interesse principale del re era di assicurare che i giovani avessero un bell’aspetto ed eccellessero nella loro formazione. Ma considerando questa decisione da un punto di vista culturale, ci rendiamo conto che l’intenzione del re era più profonda: il cibo determina l’identità, ciò che mangiamo rivela la nostra cultura, anche le nostre convinzioni religiose. L’enfasi sul cibo faceva parte del tentativo culturale e religioso di assimilare gli ebrei alla religione e alla cultura babilonese.

3. Rifiuto della trasformazione culturale. Daniele “prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con i cibi del re e con il vino che il re beveva” (versetto 8). Nella decisione di Daniele furono coinvolte la volontà e la razionalità. Probabilmente essa era basata sul fatto che il cibo del re, prima di essere portato sulla tavola di Daniele, era stato offerto alle divinità babilonesi. Molto probabilmente questo cibo non era stato preparato secondo i dettami biblici (Lev. 17:10) e avrebbe incluso carni impure. Già questi di per sé sarebbero stati validi motivi per rifiutare il cibo del re, ma il fatto che Daniele scelse quest’occasione per praticare una dieta vegetariana suggerisce un problema più profondo. Il re si era assunto la responsabilità di “assegnare” (yeman) loro le vivande. La forma verbale usata qui è impiegata nell’Antico Testamento solo per l’attività di Dio (ad esempio in Salmi 16:5; 61:8; Giona 2:1), suggerendo che il re stava attribuendo a sé stesso una prerogativa divina. Per Daniele, solo il Signore poteva determinare che cosa avrebbe mangiato. Allora, egli tornò alla dieta originale che escludeva la carne (Gen. 1:29; 3,18) e ciò lo aiutò a essere obbediente al Signore. E il Signore ha benedetto il suo sforzo di servirlo. Quando è stato lui a decidere cosa mangiare, Daniele ha seguito le norme levitiche (Daniele 10:3).

Esiste ancora, anche per noi, la minaccia dell’assimilazione culturale. Come Daniele, dobbiamo resistere e mantenere saldi i valori, i principi e gli insegnamenti della Parola di Dio.

*Ex direttore dell’Istituto di ricerche bibliche della Conferenza Generale, attualmente in pensione.

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