Francesco Zenzale – “Non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo” (Giovanni 24:23). La cultura della morte domina la nostra esistenza. D’altra parte, come potrebbe essere diversamente? La terra e, forse, anche il cielo sono colmi del simbolo della morte di Cristo. Uomini e donne indossano il Cristo crocifisso e non una medaglia che ricordi la sua risurrezione. Spesso, quando le persone pregano hanno lo sguardo rivolto alla croce e non al risorto. Oltre a ciò, i disastri naturali, l’irrazionalità e la banalità delle guerre, la povertà e i profughi che naufragano nel Mare Nostrum rimarcano l’inezia esistenziale. Anche i talkshow amplificano gli eventi traumatici, le dolorose e singole esperienze familiari.

La tomba è rimasta vuota e al posto di Gesù ci siamo noi, credenti senza speranza, messaggeri di sconforto e di vanità. Il Cristo crocifisso presiede il nostro modus vivendi, perciò, non c’è spazio per lo splendore e la potenza del risorto, per il trionfo della vita sulla morte. Eppure è un miracolo che si rinnova ogni giorno! Osservando il risveglio della natura, il guizzare dei pesci, il sinuoso movimento delle bisce d’acqua, la bellezza dei fagiani, delle anatre, dei cigni, dell’airone. Ascoltando il canto degli uccelli, delle cicale, il brusio delle api e così via. La vita è hic et nunc e possiamo accarezzarla al nostro risveglio, in un bacio, un abbraccio o in un gesto di accoglienza. La vita ci sorprende, vanificando ogni oscurità, alla nascita di un bambino.

Alla nascita della mia nipotina la “tomba” è rimasta vuota. I suoi primi sussulti, le sue prime poppate, il suo primo sorriso, le prime parole e i primi passi enunciano che la vita ha trionfato sull’idea della morte. Anche Gesù, oltre a lasciare il cielo per vivere come uomo, ha dovuto svuotare il grembo materno di Maria, per dare inizio a una nuova esperienza di vita e inondarci di eternità.

Nella parabola del figlio prodigo, il padre diceva all’insensibile figlio maggiore che: “bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato” (Luca 15:32). Così, anche nelle precedenti parabole, l’idea di rallegrarsi e di festeggiare la vita è dominante (vv. 1-7). Ciò significa che oltre a riflettere sulla croce è importante sempre più ammirare il risorto.

Sulla via di Damasco Paolo vede Gesù risuscitato e non il simbolo della sua morte (cfr. Atti 9:3-6). Chi non ha mai letto il celeberrimo brano sulla risurrezione in 1 Corinzi 15? Nella Lettera ai Colossesi, Paolo invita i credenti ad avere lo sguardo rivolto al cielo e non sulla terra, dove la cultura del non senso annienta ogni anelito alla vita e alimenta l’immoralità (cfr. Colossesi 3). In Apocalisse, Giovanni, alla presenza del risorto, “cade per terra come morto”. Per il vecchio apostolo, il tocco di Gesù e le sue suadenti parole sono vitalizzanti: “Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades (Apocalisse 1:17-18). […]

Siamo vivamente sequestrati dal dolore e la croce è la massima espressione in cui ci riconosciamo. Ma il calvario e la croce sono eventi che non devono inibire il desiderio di vivere, di sperare e di festeggiare la vita. Come il figlio prodigo, anche noi “eravamo morti e siamo tornati in vita, perduti e ritrovati”. Siamo, idealmente, nella casa del Padre e non in una qualsiasi parte del mondo o in un tugurio. È saggio dunque dargli la possibilità di rallegrarsi e di festeggiare il nostro ritorno all’eternità. La morte di Cristo è anche la nostra morte al peccato, la sua risurrezione è la nostra risurrezione. È dunque giudizioso camminare “in novità di vita” (cfr. Romani 6:4-5; Colossesi 3:1), permettendo a Gesù di requisire le nostre emozioni e le più nobili aspirazioni.

Scrive l’apostolo Paolo: “sapendo che colui che risuscitò il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù, e ci farà comparire con voi alla sua presenza” (2 Corinzi 4:14), “rallegratevi, ricercate la perfezione, siate consolati, abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace; e il Dio d’amore e di pace sarà con voi” (2 Corinzi 13:11).

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

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