Non se ne abbia troppo a male il presidente etiope Abiy Ahmed se il suo «missione compiuta» è stato accolto con profondo scetticismo da larga parte dei commentatori nelle democrazie occidentali. Come può lanciare una massiccia operazione militare nel Tigrai contro la più esperta e meglio organizzata forza combattente del suo Paese, espellere i giornalisti, imporre il blocco totale a ogni informazione indipendente, e soltanto tre settimane dopo annunciare soddisfatto la «totale vittoria» con le sue truppe accampate nella città di Makalle? Non si rende conto che già altre volte nel recente passato abbiamo assistito a troppo affrettate dichiarazioni di trionfo, poi puntualmente smentite dai fatti? (estratto dall'articolo "Guerra finita in Etiopia. Ma chi ci crede?" di Lorenzo Cremonesi apparso sul Corriere della Sera del 30 novembre 2020).

Il quotidiano Repubblica del 30 novembre riferiva inoltre delle crescenti preoccupazioni per la diffusa violazione dei diritti umani, nel Tigrai  ("Terrore in Etiopia, machete e asce come in Ruanda").

Sugli inquietanti sviluppi di questa conflitto che rischia di destabilizzare l'intero Corno d'Africa, abbiamo ascoltato il parere di Marta Torcini, attenta osservatrice della politica etiope più recente, intervistata da Roberto Vacca.

*Nella foto un'immagine del Tigrai che fa parte dello Stato federale etiope, teatro delle operazioni belliche.

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