Francesco Zenzale – “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita!” (Giovanni 5:39, 40).

Nelle precedenti riflessioni, abbiamo avuto il piacere di cogliere quanto Cristo fosse rappresentato nel cerimoniale ebraico. Come scrive l’apostolo Paolo, egli era “la roccia spirituale che li seguiva” (1 Corinzi 10:4). In questa riflessione, anche se sommariamente, ci soffermeremo sugli annunci profetici, per avere un’idea di come Gesù fosse il Messia promesso.

“Mostrare come già nell’Antico Testamento esistessero delle ‘gemme evangeliche’ dove la dimensione del Dio che s’identifica con le sue creature, fino a condividerne sofferenze e morte, per espiarne le colpe, appare dipinta con grande forza affettiva. Ribadire come tra i tanti ipotetici messia che la tradizione ebraica poteva attendere all’alba della nostra era poteva trovare posto il “servo dell’Eterno” di cui parla il profeta Isaia (Is 53), un liberatore caratterizzato non dalla potenza del vincitore o del leader politico, ma dall’umiltà di chi accetta volontariamente la realtà dell’incarnazione” – Autori Vari, Siamo pieni di speranza, Iade, Ed. ADV, Firenze, 1992, p. 76.

Nelle stesse parole che enunciavano l’inevitabilità delle conseguenze del peccato, si celava la promessa del Redentore: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno” (Genesi 3:15).

Giacobbe, morente, potrà annunciare a Giuda suo figlio che lo scettro non sarà rimosso da lui “finché venga colui al quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli” (Genesi 49:10). Il Messia apparterrà alla posterità di Giuda, che è anche quella di Davide (cfr. Numeri 24:17-19; Deuteronomio 18:15-19; 2 Samuele 7:16; Luca 1:32,33; Matteo 9:27; 12:23; 22:42; Giovanni 7:42).

Michea annuncia la nascita del Messia a Betlemme (cfr. Michea 5:1; Matteo 2:1) e Zaccaria parla del tradimento che avrebbe fruttato per le tasche di Giuda trenta sicli d’argento, ma poi precisa che sarebbero stati usati per comprare il campo del vasaio (Zaccaria 11:12,13; cfr. Matteo 27:1-10). Davide parla di mani e piedi forati.

Affinché il momento della sua manifestazione tra gli uomini non si perdesse nel tempo mitico, indefinibile o fosse proiettato in un lontano futuro, Dio rivelò al profeta Daniele, durante il suo soggiorno alla corte di Babilonia (intorno al 538 a.C.), quando il Messia si sarebbe presentato, l’opera che avrebbe compiuto e il momento della sua morte. “Settanta settimane [di anni] sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo. Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane… Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui… Egli [il Messia] stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana [settantesima] farà cessare sacrificio e oblazione” (Daniele 9:24-27 ND).

Questo testo del VI secolo a.C. è la pietra angolare della profezia messianica. Per questo motivo il libro di Daniele era il più letto, consultato e studiato nel primo secolo avanti e dopo Cristo. Il brano citato indica il momento della “pienezza dei tempi” (Galati 4:4), in cui si sarebbe presentato chi, fin dal giardino dell’Eden, era stato annunciato come colui che, venendo, avrebbe stritolato la testa del serpente sotto il proprio piede e avrebbe subito la ferita che lo avrebbe fatto morire.

Nota
La profezia delle 70 settimane copre un periodo di 490 anni, che va dal 457 a.C. al 34 d.C. Per ricevere lo studio approfondito sull’argomento fare richiesta a: f.zenzale@avventisti.it

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