Francesco Zenzale – È sorprendente quanto il Nuovo Testamento insista sul fatto che Cristo è “morto, è risuscitato… e anche intercede per noi” (Romani 8:34). In occasione dell’ultima cena, Gesù afferma che avrebbe offerto se stesso (corpo e sangue) “per voi” (per noi) (Luca 22:19-20). Nel Vangelo di Giovanni, il buon pastore “offre la vita per le sue pecore” (10:11). Lo stesso vale per Romani 8:32, dove è scritto che Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” ed è disposto a donarci ogni cosa “insieme con lui”. Paolo, rievocando, la cena del Signore, scrive che Gesù prese del pane e “dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me’” (1 Corinzi 11:24 Cei).1

Umanamente, qualora ci trovassimo nella condizione di bisogno, l’idea che qualcuno agisca in nostro favore è accettabile, ma che l’altro sia disponibile a morire è impraticabile. Può succedere, ma per errore e non per espressa volontà. Di Gesù sta scritto che ha scelto di morire per noi. Egli “è morto per i nostri peccati secondo le Scritture” (1 Cor 15:3 ND) e senza vincoli o particolari richieste di bisogno. Sinceramente, è irrisorio pensare di formulare una richiesta salvifica se riteniamo di essere ricchi e non abbiamo bisogno di niente (cfr. Apocalisse 3:17). L’arroganza è uno degli aspetti che ci ha sempre contrassegnati. Preferiamo nasconderci piuttosto che riconoscere di essere nella necessità di essere salvati (cfr. Genesi 3:9). Guai a chi evidenzia la nostra esiguità! La colpa è sempre di chi ci sta vicino, mai personale (cfr. Genesi 3:10-14).

È diventato peccato per noi
Paolo, nella seconda Lettera ai Corinzi rileva che Gesù “non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto diventare peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio in lui” (5:21). “Diventare peccato per noi” e senza il nostro consenso, esprime l’idea che Dio abbia agito solo per amore, appropriandosi in Gesù Cristo del peccato. Gesù ha vissuto nella sua pelle o nella sua carne il peccato e, paradossalmente, senza peccare (cfr. Ebrei 4:15). In che modo quest’umanizzazione del peccato sia stata possibile da innocente, rimane un mistero per noi come anche per gli angeli (cfr. 1 Pietro 1:12).

Secondo la logica antropica, è inaccettabile che un giusto subisca la colpa del malvagio. Ci sono esempi di persone che sono state dichiarate colpevoli di reati e che dopo diversi anni sono risultati innocenti. Quando ciò accade, avvertiamo rabbia, indignazione e un forte senso di giustizia. Ma la logica divina ci disorienta, perché Egli ha voluto che Gesù, suo figlio, divenisse peccato e morisse sulla croce, e da malfattore, per noi. Per questo motivo Paolo parla della pazzia di Dio (1 Corinzi 1:18 e segg.).

Sicuramente, quest’azione di Dio in Gesù Cristo rivela, da una parte, la sua inspiegabile misericordia per il mondo. Dall’altra evidenzia la terribile condizione di esseri viventi. Tragedia che si è acutizzata sulla croce in Gesù Cristo.

È morto per noi, come se fosse uno di noi, “affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21). La salvezza peregrina per la strada che conduce al calvario e sgorga da un uomo crocefisso da innocente. Non c’è alternativa. La giustizia di Dio, vale a dire la sua misericordia o la sua grazia, si attualizza in Gesù uomo, che ha immolato la sua vita per noi. Celeberrimo è il testo del Vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (3:16).

Scrive la scrittrice cristiana Ellen G. White: “La morte di Cristo è la prova del grande amore di Dio per l’uomo. Essa è la nostra garanzia di salvezza. Rimuovere la croce dal cristiano e come rimuovere il sole dal cielo.  La croce ci avvicina a Dio e ci riconcilia con il suo Spirito. Con la stessa tenerezza di un padre per i figli, Dio guarda alle sofferenze che suo Figlio ha patito per poter salvare l’umanità dalla morte eterna, e ci accetta per i suoi meriti. Senza la croce, l’uomo non potrebbe avere comunione col Padre. Da essa dipende ogni nostra speranza. Sul suo legno si riflette la luce dell’amore di Cristo; e il peccatore non può che gioire quando va ai piedi della croce, sapendo che i suoi peccati sono stati perdonati. Inginocchiato ai piedi della croce, egli ha raggiunto la più elevata posizione che l’uomo possa ottenere. La sua fede l’ha salvato. Mediante la croce noi impariamo che il Padre celeste ci ama infinitamente. Possiamo forse stupirci dell’esclamazione di Paolo: ‘Non sia mai ch’io mi glori d’altro che della croce del Signor nostro Gesù Cristo!’ (Galati 6:14 Luzzi). È anche nostro privilegio gloriarci nella croce, è nostro privilegio dare tutto noi stessi a Colui che diede se stesso per noi . Con i volti illuminati dalla luce del Calvario, noi potremo avanzare rivelando questa luce a quelli che sono nell’oscurità”.2

Note
1 Nel Vangelo di Giovanni, l’espressione greca uper umon (per voi) esprime l’idea di “in favore di” (locuzioni prepositive: in favore di, a favore di, in beneficio, a vantaggio, o a sostegno di).  “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Giovanni 17:19). Questa espressione “per voi” sottolinea anche l’azione dello Spirito Santo in favore dei credenti: “colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti [uper aghion: per i santi] secondo i disegni di Dio” (Rimani 8:27, 31).

2 E. G. White, Gli uomini che vinsero un impero, Ed. Adv, Firenze, p. 131).

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

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