Francesco Zenzale – “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24).

Non ho paura del giudizio di Dio, ma di quello degli uomini. Perché è spietato, disabilitante e inquinato dalla comprensione inadeguata di se stessi, dell’altro e della vita in generale. Tuttavia gli uomini passano e ciò che rimane sono le “opere”, le quali certificheranno la nostra attuale condotta nel giorno dell’estimo finale (cfr. Apocalisse 20:12-13; 2 Corinzi 5:10).

A proposito del giudizio e della misericordia di Dio ci sono alcune idee da evidenziare. In primis, il giudizio rende evidente quella che è stata la nostra vita interiore e pragmatica (cfr. Matteo 15:19; 1 Corinzi 4: 5). La seconda nozione è che il giudizio e la misericordia sono inclusivi: l’uno non estromette l’altro, perché entrambi fluiscono dall’amore di Dio. Il terzo pensiero riguarda la sentenza e l’atto esecutivo del giudizio, mediante il quale il male sarà estirpato dall’universo. Il quarto concetto concerne l’opera mediante la quale Dio ha riempito la voragine provocata dal peccato liberando l’uomo dalla morte eterna. L’ultima idea è che la redenzione non è vincolante. L’uomo è libero di percorrere sentieri divergenti, declinando il dono della vita eterna (cfr. Giovanni 3:16; Atti 16:29-31).

“Infatti, Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Perché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano scoperte; ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate, perché sono fatte in Dio” (Giovanni 3:17-21).

Questo brano delle Scritture merita più attenzione rispetto a quella che possiamo dare in questa breve riflessione. Tuttavia possiamo affermare che chi non crede in Gesù “è già giudicato” o condannato, perché la morte è radicata nella natura umana1 e nella risolutezza di continuare a vivere nelle tenebre rifiutando la “luce”. Chi, al contrario, “crede in lui non è giudicato”, nell’accezione che le conseguenze dell’estimo, che prorompono dal peccato, non avranno alcun effetto. In Matteo, Gesù evidenzia che al suo ritorno saremo tutti soppesati, con la differenza che “gli empi andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna” (Matteo 25:31-32, 46; cfr. Ro 2:5-10).

Chi ospita Gesù, ascolta la sua parola e crede in chi l’ha inviato (Dio), “ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24). Passare “dalla morte alla vita” non svaluta il giudizio, lo status di uomo peccatore, ma sbriciola il “salario del peccato” che è la morte (Romani 6:23).

Nel contesto della liberazione d’Israele, la decima piaga, che tracima dall’ostinatezza del Faraone e non dal giudizio, implicava la morte dei primogeniti: egiziani e israeliti. Solo chi eseguì la volontà di Dio,2 rivelazione della sua misericordia, “passò oltre”,3 vale a dire “dalla morte alla vita” o alla liberazione (Esodo 11 e 12). Ciò significa che l’estimo non è annesso alla morte, ma alla grazia. Dio giudica non per condannare, ma per salvare. Non c’è misericordia senza giudizio e non c’è giudizio senza misericordia. Perciò, chi crede in Gesù non muore, perché il peccato e il suo devastante effetto sono incompatibili con la misericordia.4

Nella parabola del figlio prodigo, l’abbraccio redentivo del padre non impoverisce la condotta esecrabile del figlio, ma “copre una moltitudine di peccati” (1 Pietro 4:8), e inibisce l’inconsistenza esistenziale. La benignità del padre si esprime nell’accoglienza, nel vestire il pentito di abiti splendidi e nel festeggiarlo. La prospettiva che possiamo cogliere da questo dipinto, dai colori contrastanti, nel quale l’oscurità e la sofferenza precedono la luminosità e la gioia, è che la naturale e umana fragilità sarà rimossa per dare spazio a un individuo spirituale, glorioso, incorruttibile, celeste, ecc. (cfr. 1 Corinzi 15:42-49).

In breve, il giudizio nella sua accezione sgorga dall’amore di Dio, quindi ha una valenza creativa e favorevole allo sviluppo della persona. Esso non ha nulla a che fare con espressioni o comportamenti avvilenti e distruttivi. La misericordia non deprezza il giudizio, ma agisce sul peccato e la polvere (cfr. Genesi 3), permettendo all’uomo naturale, schiavo del peccato, di “oltrepassare la morte”.

Note
1 Siamo come un albero al quale sono state recise le radici. Il tempo esistenziale è limitato. Le foglie s’ingialliscono, i rami cominciano a seccarsi, poi il tronco s’infradicia e si polverizza.
2 In occasione dell’ultima piaga, motivata dall’ostinazione del faraone, che avrebbe colpito i primogeniti (Esodo 11:4-8) prima del giorno della liberazione dalla schiavitù in Egitto, gli Israeliti furono invitati a compiere due atti di fede: sacrificare un agnello e spruzzare il sangue sugli stipiti e sull’architrave della porta, come segno dell’accettazione per fede del dono della vita in favore dei primogeniti; arrostire l’agnello intero, con la testa, le gambe e le interiora, e mangiarlo con pane azzimo ed erbe amare, senza lasciare alcun avanzo fino al mattino. Andava mangiato in fretta, con i fianchi cinti, i calzari ai piedi e il bastone in mano, pronti per partire (Esodo 12:5-11).
3 La Pasqua (in ebraico Pesah, deriva dal verbo pâsah, che significa “passare oltre”), racconta il modo in cui Dio intendeva affogare la morte e la schiavitù del peccato, offrendo all’umanità la gioia della salvezza.
4 La morte, come conseguenza del peccato e uno stile di vita ostile a Dio e alla sua misericordia, è preceduta dal giudizio, che nella sua accezione è utile agli empi i quali si confronteranno con il loro indegno modus vivendi, come anche per i credenti, che ammireranno l’amore di Dio e comprenderanno i motivi per cui gli empi non si salveranno (cfr. Apocalisse 20).

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

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