Francesco Zenzale – “Ecco ciò che voglio richiamare alla mente, ciò che mi fa sperare: è una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni infatti non sono esaurite; si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà! ‘Il Signore è la mia parte’, io dico, ‘perciò spererò in lui’” (Lamentazioni 3: 21-24).

Leggendo la storia d’Israele così com’è raccontata nell’Antico Testamento, ci rendiamo conto che il popolo eletto ha disatteso fortemente la grazia di Dio. Un percorso storico caratterizzato da ingiustizie, barbarie, omicidi, adulteri, idolatria, ecc. I profeti, sollecitati da Dio, hanno continuamente evidenziato queste dolorose trasgressioni. Scrive Isaia: “Le vostre mani infatti sono contaminate dal sangue, le vostre dita dall’iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogna, la vostra lingua sussurra perversità. Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con verità; si appoggiano su ciò che non è, dicono menzogne, concepiscono il male, partoriscono l’iniquità” (Isaia 59:3-4).

Tuttavia, Dio ha sempre cercato di salvare il salvabile: il rimanente. Affinché la promessa del redentore fosse portata a compimento (Isaia 11), “da Gerusalemme uscirà un residuo, e dal monte di Sion usciranno degli scampati” (Isaia 37:32). “Un residuo eletto per grazia” (Romani 11:5).

Il profeta Ezechiele descrive il modo in cui Dio cerca e salva il suo gregge. “Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre” (Ezechiele 34:12).

Le immagini del pastore e del gregge (pecore e agnelli) sono molto care all’apostolo Giovanni. Egli in primo luogo introduce Gesù come un agnello (Giovanni 1:29). Un’illustrazione scioccante. Non quella di un angelo o di un uomo, ma di un animale, appartenente a un regno inferiore. In fondo, all’uomo resta difficile vivere da agnello! (cfr. Isaia 53). Lasciarsi raccogliere da Dio non è semplice, perché implica un atto di totale abbandono.

In secondo luogo, lo descrive come il buon pastore, contrapponendolo all’uomo-ladro (cfr. Giovanni 10). Anche questa chiosa è impressionante. Non come un sacerdote, un levita, un dottore della legge, un pescatore, ma come un pastore. Un uomo distante dalle comodità familiari e dagli affetti. Solo, nei giorni soleggiati e in quelli piovosi, e sempre in compagnia del suo gregge che ama e per il quale è disposto dare la propria vita affinché sia in sicurezza.

La storia d’Israele è percorsa dalla misericordia divina, bagnata da lacrime di sofferenza e di tristezza mortale. Dio prende l’iniziativa di creare un popolo, una nazione, e s’impegna in prima persona a sostenerlo fisiologicamente, emotivamente, giuridicamente e spiritualmente.

Lo sfama, gli offre da bere, gli parla attraverso i profeti, lo custodisce come un’aquila che veglia la sua nidiata (cfr. Deuteronomio 32:11), partecipa attivamente alla scelta di un re, anche se non è d’accordo. Sceglie Davide, un re secondo il suo cuore, va in cattività a Babilonia con il suo popolo e ritorna a Gerusalemme con il resto. E infine si fa uomo. Il tutto per amore (cfr. Isaia 43:1-4).

La grazia che Dio riversa su Israele è ineccepibile se consideriamo la riluttanza di questo popolo nei suoi confronti. In una delle innumerevoli esortazioni Dio fa sapere ciò che gli sta più a cuore: “che si pratichi la giustizia, ami la pietà e cammini umilmente con lui” (Michea 6:8).

Condividi

Articoli recenti