Francesco Zenzale – Una delle pagine più esaltanti della profezia riguardante Gesù e la sua opera si trova nel libro di Isaia. Celeberrimo è il brano in cui il Messia viene annunciato come un servo: “Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni. Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; manifesterà la giustizia secondo verità. Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge” (Is 42:1-4).

È sorprendente il modo in cui Dio si manifesta all’uomo: come un servo!1 Ancora una volta ci troviamo di fronte alla grandezza di Dio, che indubbiamente sbaraglia ogni tentativo di paragone con le divinità pagane. Niente violenza, forza bruta, sete di vendetta, particolari richieste (come quella di farsi delle incisioni sul corpo) per indurlo a far scendere fuoco dal cielo per bruciare l’olocausto, o convincerlo a scomodarsi rispondendo ai bisogni dei supplicanti, dopo incessanti ed estenuati preghiere (cfr. 1 Re 18:25-29). Niente di tutto ciò! Egli si presenta all’uomo come servo capace di promuovere un progetto rappresentativo della salvezza, che lui stesso avrebbe realizzato nella persona di Gesù Cristo in qualità di servo.

Fa costruire altari (alti luoghi) in ricordo delle sue epifanie o della manifestazione della sua grazia; invita gli Israeliti a costruire un santuario, adattandosi all’architettura del tempo, dandole un significato teologico da una parte demitizzante e dall’altra messianico, anticipando figuratamente il suo desiderio di “abitare” con il suo popolo (cfr. Esodo 25:8; Giovanni 1:14). E dopo aver molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, giunta la pienezza dei tempi, a compimento della profezia delle 70 settimane, si presenta all’umanità come servo.

La parola, che era con Dio ed era Dio, si fa carne condividendo la pienezza dell’umanità, tranne che nel peccato, per abitare2 un tempo fra noi, piena di grazia e verità (cfr. Giovanni 1:1-3, 14; Ebrei 2:14-18; 4:14-16). Un uomo che “non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza” (Is 53:2, 3) e con la morte. Spregiato, ignorato dai più e soprattutto da quelli “di casa sua” (Giovanni 1:11).

Un uomo, che nonostante sia “Parola di Dio”, si presenta all’umanità come un sottomesso che si applica nell’adempimento della volontà del Padre, con fedeltà, gioia, sobrietà e rettitudine, secondo verità. Senza mai frantumare “la canna rotta” o spegnere “il lucignolo fumante” (Matteo 12:20), cercherà di stabilire “la giustizia sulla terra”,3 con tenacia, fino al giorno del suo trionfo, dopo essere stato abbattuto perché aveva deciso di porre fine al peccato (cfr. Isaia 49:1-6; 53:4-12).

Note
1 In ebraico ‘ebēd Yhwh, in Greco Paîs Theoû. La radice della parola ebraica ‘ebēd, servo, è ricca di sfumature. Essa indica ogni rapporto di dipendenza: dello schiavo, del suddito, ma anche del dignitario, del ministro. Il verbo indica rendere culto e adorare. Nella lingua aramaica parlata da Gesù, a questi significati si aggiunge anche il senso di fare, operare.

2 Abitare, in greco eskénosen, letteralmente: venne a piantare la sua tenda.

3 La giustizia di Dio, in ebraico sédeq, saddiq; in greco dikaiosyne, dikaios. La giustizia di Dio è innanzitutto la concreta fedeltà al patto e si identifica con l’azione salvifica di Dio (cfr. Isaia 42:6-7; 45:8).

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