Francesco Zenzale – Dio stabilisce con Israele un complesso servizio cultuale, dal duplice significato: da una parte si pone in contrasto al vasto sistema dei culti pagani, caratterizzati da un rapporto do ut des (do perché tu dia); dall’altra, la rivelazione della grazia divina narrata per mezzo di rappresentazioni profetiche che trovano il loro compimento nell’opera e nella persona di Gesù (cfr. Ebrei 10).

Ciò è ben evidente nel santuario, nell’ampio rituale caratterizzato da sacrifici e festività. Questi prefiguravano tre grandi insegnamenti spirituali: la riconciliazione (altare degli olocausti e bacino di rame), la maturità spirituale o santificazione (luogo santo con i suoi arredi) e il giudizio (luogo santissimo con i suoi arredi). La riconciliazione indicava l’opera di Dio in favore dell’umanità; la santificazione segnalava il percorso di vita del credente nell’ambito della riconciliazione acquisita grazie alla misericordia di Dio e al sostegno dello Spirito Santo; il giudizio annunciava l’atto finale mediante il quale il peccato in tutte le sue conseguenze sarà estirpato per sempre, prima dell’inaugurazione di un nuovo percorso di vita: nuovi cieli e nuova terra.

Il giudizio è anche connesso al trionfo della giustizia e all’affermazione della vita. Gesù, nel dibattito con alcuni Giudei che non credevano nella risurrezione, chiarisce che Dio è il solo garante della vita eterna e che la morte non fa parte della sua natura. “Quanto poi ai morti e alla loro risurrezione, non avete letto nel libro di Mosè, nel passo del pruno, come Dio gli parlò dicendo: ‘Io sono il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe’? Egli non è Dio dei morti, ma dei viventi. Voi errate di molto” (Marco 12:26, 27).

Nel suo insieme, il sistema cultuale ebraico raffigura il vangelo in miniatura. La manifestazione della sua presenza e della sua grazia. Il santuario, nella sua morfologia, non aveva nulla di mitologico. Esso esprimeva la volontà di abitare con il suo popolo, camminare con esso come uno di loro (cfr. Esodo 25:8; 13:21). Illustrava magistralmente l’incarnazione dell’amore di Dio, della sua gloria, del suo essere padre e madre. L’umanizzazione della presenza di Dio nella nostra vita. “Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”» (Apocalisse 21:3, 22; cfr. Esodo 25:8). Gesù Cristo è il vero tabernacolo, il vero santuario!

Osea, uno dei tanti profeti minori, con un’immagine a noi familiare, come quella di un padre o di una madre, scrive: “Quando Israele era giovinetto io l’ho amato… A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11:4 Cei). “Nessun dio è come te, Signore: tu cancelli le nostre colpe, perdoni i nostri peccati. Per amore dei sopravvissuti del tuo popolo, non resti in collera per sempre ma gioisci nel manifestare la tua bontà” (Michea 7:18 Tilc).

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