Francesco Zenzale – È triste leggere notizie di tombe profanate con atti vandalici; ed è penoso scoprire che il feretro è stato trafugato come un trofeo o per avidità. La tomba rimane vuota! La desolazione dei familiari è paragonabile a quella di Maria e delle sue amiche, quando, avvicinandosi al sepolcro, si resero conto che era vuoto. Avevano comprato gli aromi per ungere il corpo inerte di Gesù (cfr. Marco 16:1). Lungo la strada sterrata “dicevano fra di loro: ‘Chi ci rotolerà la pietra dall’apertura del sepolcro?’” (Marco 16:3), ma trovarono la pietra rimossa e il suggello, simbolo del granitico Impero romano, sbriciolato. Il sepolcro era aperto e sgombro! Pensarono subito che qualcuno avesse portato via il corpo di Gesù (cfr. Luca 24:4). Allora Maria “corse verso Simon Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava e disse loro: ‘Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’abbiano messo’” (Giovanni 20:2). Nel tempo in cui gli apostoli verificarono l’accaduto, Maria piangeva disperatamente. Gesù si presentò rivolgendole delle domande con lo scopo di attirare l’attenzione sul risorto ma, nell’immediato, pensò che fosse l’ortolano (vv. 14-15).

Anche noi, spesso, affranti dal dolore rimaniamo seduti e piangiamo come se le avversità avessero trafugato Gesù dalla nostra esperienza di vita. Avvertiamo la dolorosa sensazione di aver perso ogni speranza. La nostra coppa traboccante d’amore, di sogni e di progetti sembra vuota. L’urto violento degli eventi negativi o di una malattia che ti lascia sospeso fra il cielo e la terra è incontenibile e sfibrante. L’intenso dolore scherma il risorto e Gesù è l’ortolano o una persona qualunque cui chiedere informazioni. “Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto, e io lo prenderò” (Giovanni 20:15).

Piangiamo! E piange anche lui, a motivo della nostra esigua lucidità spirituale. Ma non ce ne accorgiamo! Pensiamo che sia così divino, lontano, disinteressato e rimosso dalla nostra visione e percezione. La sua promessa “io sarò con voi tutti i giorni” (Matteo 28:20) fino al mio ritorno, non sembra veritiera e i ricordi più belli, le promesse, le aspettative e i segni evidenti della sua presenza, svaniscono come vapore nell’aria. Anche noi, come i discepoli di Emmaus esclamiamo: “pensavano che fosse lui il Messia!”. Non si sbagliavano (cfr. Luca 24:21-24). Solo che le loro pretese e attese profetico-esistenziali erano errate.

Forse anche la nostra comprensione di Gesù e le nostre acclamate richieste sono inadeguate, ci illudono e annientano il tempo esistenziale. Quando ciò accade cerchiamo Gesù dove non c’è. Pensiamo che sia ancora sepolto. Sommerso dai nostri sogni, progetti e devozione, invece è risorto. Affrancato da una realtà fugace e irrilevante e da una religiosità formale. È accanto a noi! Cammina con noi! Ma abbiamo l’impressione che non sia lui, bensì un giardiniere o un viandante.

Eccoci seduti a tavola, come nell’ultima cena o come la nostra prima cena vissuta con la comunità. Il pane, ancora una volta, è spezzato e benedetto, non da un uomo prossimo alla morte, ma dal risorto, da chi è in grado di riempire la nostra coppa di eternità. I nostri occhi, come quelli dei discepoli, si aprono e le penose e sgradevoli cataratte spirituali sono rimosse, lo vediamo e lo riconosciamo come lui vuole essere conosciuto. Esclamiamo: “Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?” (Luca 24:32).

Aveva sgombrato il cielo della sua presenza per abitare l’umanità e abbandonato la tomba per riempire la nostra coppa di speranza. Lascerà, ancora una volta, il cielo per prenderci e portarci con sé (cfr. Giovanni 14:1-3).

Quando permettiamo a Gesù di essere nostro compagno di viaggio riceviamo la capacità di reggere gli urti o gli eventi dolorosi senza spezzarci, senza che la fede e il desiderio di vivere vengano meno.1 Ci alziamo e senza indugio torniamo a Gerusalemme. Non quella terrena, ma quella celeste (cfr. Luca 24:33-35; Ebrei 12:22; Apocalisse 3:12). Dimentichiamo le cose che indugiano nel tempo dei ricordi e corriamo “verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:12-14).

 

Nota
1 “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Com’è scritto: ‘Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno; siamo stati considerati come pecore da macello’. Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8: 35-39).

 

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

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