Francesco Zenzale – Tempo fa mia moglie mi disse: “Ho fiducia in te, ma gli altri possono fraintendere i tuoi gesti di ricezione e di generosità”. Questo pensiero mi ha fatto un gran bene e, indubbiamente, mi ha aiutato a essere molto più attento nei confronti di persone che manifestano velatamente pregiudizi nei confronti di altri.

La fiducia è uno degli aspetti essenziali della vita in generale e coniugale. Resta difficile pensare di continuare a stare accanto a una persona, che affermiamo di amare, per poi defraudarla del senso di affidamento. Purtroppo sono numerose le persone che a causa della propria insicurezza e disistima faticano a consegnarsi all’altro, soprattutto quando subentra l’inafferrabilità.

Tendenzialmente, per diversi motivi (educativi, formativi, psicologici, ecc.), siamo invogliati a tenere tutto sotto controllo. Ciò ci induce a “oggettivare” ogni aspetto della vita, a rendere visibile l’impercettibile. Siamo formalmente sereni quando possiamo visualizzare la persona amata e in qualche modo “maneggiarla”, ma soffriamo quando l’altro sgorga dall’immaginazione perché assente. L’insicurezza domina la nostra esistenza e spesso può risultare luttuosa.

Avere fiducia significa concedere all’altro la possibilità di allontanarsi. Di rendersi invisibile. Non è facile, ma è indispensabile e inevitabile. L’altro non ci appartiene. Se ha scelto di stare con noi non significa che ha rinunciato alla propria dignità, individualità e libertà esistenziale ed espressiva. La coesistenza non defrauda l’altro della gioia di essere se stesso. Indubbiamente, possiamo invitarlo a restare con noi, ma è l’altro che deve decidere di fermarsi e quando lasciarci soli.1 I discepoli di Emmaus invitarono Gesù a restare con loro, ed egli acconsentì, ma all’improvviso, durante la cena, Gesù scelse di andarsene: “scomparve alla loro vista” (Luca 24:31). L’imprevedibilità è un aspetto della vita che ci scuote, per questo motivo la fiducia è un ottimo rimedio per attenuare il colpo e vivere nell’attesa che l’altro ricompaia perché ci ama.

Ricordo le parole di Gesù rivolte ai discepoli: “Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete” (Giovanni 16:16). Io non so qual è la vostra comprensione di questo gioco di parole sulla sua visibilità. I discepoli cercarono di coglierne il senso, ma non lo percepirono. Gesù intervenne cercando di oggettivare il suo dire, ma l’impressione è che non furono ancora in grado di comprendere: “In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia” (Giovanni 16: 17-20). Analizzando il testo, possiamo considerare alcuni spazi temporali della vita di Gesù in relazione alla fiducia.

– La sua presenza fisica come Messia-Uomo, con i suoi prodigi e insegnamenti. Un dato tangibile in cui la fede riposa sulla visibilità, palpabilità e operatività.

– Le ultime ore contraddistinte dal Messia sofferente-assente (morto), in cui la fede è destabilizzata: “noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose” (Luca 24:21; cfr. Matteo 27:56).

– La sua presenza-assenza nello spazio di quaranta giorni in cui Gesù visse saltuariamente con i discepoli. La fiducia in questo periodo oscilla tra l’oggettivazione e l’invisibilità. Gesù si fa toccare, parla, mangia e si rende impercettibile (cfr. Atti 1:3). La fiducia acquista una notevole valenza grazie all’irreperibilità del Maestro. I discepoli non riescono a penetrare nel mondo di Dio, dove Gesù è alla sua destra, se non per fede. Questo movimento di Gesù – apparire e scomparire – li aiuta ad accettare il definitivo distacco: “Mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi” (Atti 1:9).

– La sua invisibilità-ritorno. Gesù non si fa più vedere se non in visione e con manifestazioni diverse, rispetto ai quaranta giorni (Atti 9:3-6; Apocalisse 1:12-20). Si tratta di un’estensione temporale che ancora non ha avuto il suo epilogo, quindi la sua invisibilità si protrae fino al suo ritorno (Atti 1:10-11). Quest’ultima unità di tempo Gesù la consegna al credente con l’incognita del giorno del suo ritorno (Matteo 24:36), della contaminazione del vangelo (2 Tessalonicesi 2:1-12), delle persecuzioni (2 Timoteo 3:12) e del potenziale pericolo di perdere la fede (Luca 18:8). Aspetti che tendono a destabilizzare il credente inducendolo a perdere la fiducia nel risorto o a esplodere in tutta la sua trascendenza e risolutezza, esprimendosi in un atto di totale abbandono.

L’estensione della fiducia in chi è invisibile-assente, fluisce:
– dalla consapevolezza che l’altro esista, anche se in modo diverso da come possiamo immaginarlo. Ad esempio, possiamo rappresentarci il Gesù uomo, difficilmente il Gesù risorto e glorioso;
– dalla certezza che l’invisibilità dell’altro non ha nulla a che fare con comportamenti orientati a screditare la relazione (Giovanni 14:1-3);
– dalla percezione che l’altro, benché assente, operi in nostro favore e della convivenza (1 Giovanni 2:1-2);
– dalla risolutezza nel rimanere fedeli, nonostante il protrarsi dell’attesa e le vicissitudini che possono invalidare la speranza (Apocalisse 2:10; 14:9-12). Paolo scriveva: “È anche per questo motivo che soffro queste cose; ma non me ne vergogno, perché so in chi ho creduto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno” (2 Timoteo 1:12).

L’ampliamento della fiducia è estensione della persona nell’altro. Questo movimento verso l’altro, nell’accezione spirituale, lo si può cogliere nella locuzione: “per me vivere è Cristo” (Filemone 1:21; Cfr. Galati 2:20). Vivere il risorto significa accettare che Gesù fa parte di un’altra dimensione e che la “nostra cittadinanza è nei cieli” (Filemone 3:20). Questa dichiarazione di fede rileva che non è Gesù che va incontro all’umanità, divenendo ancora una volta uomo (Giovanni 1:14; Filippesi 2:5-8), ma siamo noi che “a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito” (2 Corinzi 3:18). Tale prospettiva celeste implica il cercare e desiderare il modus vivendi di “lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio” e non anelare “le cose che sono sulla terra”. “La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio”; quando Cristo, che è la nostra vita, ritornerà “allora anche noi saremo con lui manifestati in gloria” (Colossesi 3:1-4; cfr. 1 Corinzi 15:51-54).

Nel significato antropologico e sociale, l’estensione della fiducia nell’altro, presente-assente, si realizza in termini affettivi e tangibili. Se l’altro è fratello o sorella è un privilegio cogliere il senso di reciproca appartenenza. Facciamo parte di una realtà collettiva e solidale, dove la fraternità dovrebbe essere uno degli aspetti edificanti. La comunità esiste laddove alberga il rispetto, la fiducia e il mutuo sostegno: etico, spirituale e pragmatico.

Se l’altro è il partner, moglie o marito, la fiducia acquista una valenza esclusiva, distinta dal senso di reciproco affidamento, dalla complicità e dall’intimità. L’invisibilità dell’altro è avvertita come bisogno di stare insieme e di condivisione e non di possesso. Benché assente, l’altro è presente in termini amorevoli, di pensiero, d’immaginazione e di laboriosità vissuta nella prospettiva del riaversi. Gli invisibili-assenti sognano, desiderano, aspettano e pensano. Si rispettano, si amano e si preparano con distingui tangibili per rendere la mutua visibilità accogliente, affascinante, incentivante e creativa.

La fiducia rende visibile l’invisibile. L’altro è inscindibile come l’ombra ed è presente in ogni aspetto della vita.

Nota
1 Ci sono tante realtà nella vita che ci allontanano dall’altro: impegni di lavoro, attività sportive, interessi personali, ecc., e non sempre l’allontanamento fluisce da una libera scelta. Le cause sono molteplici e possono anche sgorgare da una relazione sofferta. In tal senso l’invisibilità può instradare una sana autocritica e una seria riflessione sulla relazione.

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

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