Francesco Zenzale – “Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8).

La morte è una dolorosa esperienza che accompagna la vita senza che l’umanità, nel corso dei secoli, abbia trovato l’antidoto che ponga fine a questo tragico evento. Nessuno è morto lasciandoci un segno di speranza o di fiducia tale da farci credere che in un tempo lontano ci sarebbe stata un’inversione efficace a favore della vita. No! Nessuna aspettativa o eventualità di trascendere quest’umana esistenza. Si commemorano gli eventi della vita belli e brutti, ma non la vita, perché la morte è inattesa e oscura, capace di infrangere ogni aspirazione all’amore, al bene e alla fratellanza.

Noi moriamo a causa della nostra natura contrassegnata dal peccato, senza trarre alcun anelito alla vita per noi stessi e per l’umanità. Passiamo davanti al cimitero con il pensiero che prima o poi anche noi faremo compagnia ai nostri cari defunti. Molti sono coloro che hanno comprato una nicchia accanto ai loro cari! Uniti per sempre! Ma nella morte!

Di fronte a questo dramma, la parola ispirata ci informa che Cristo “è morto per noi” e non per se stesso o per Dio. Egli si è fatto uomo, ha vissuto su questa terra per circa trentatré anni, è morto ed è risorto per noi. Questo pensiero è presente in tutto il Nuovo Testamento. L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani, scrive che “mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi” (Romani 5:6-8; Efesini 2:1-3), evidenziando che Dio “mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8).

In virtù di questo atto d’amore, Dio non ci ha destinati a sottostare alle conseguenze del peccato “ma all’acquisto1 della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. (1 Tessalonicesi 5:9-10 Cei).

La sua morte risulta, per noi, motivo di speranza, di trascendenza e di sano orgoglio spirituale. In tal senso Paolo scrive che “non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo” (Galati 6:14).

l motivo per cui si addice ai credenti di vantarsi della croce sta nel fatto che la morte di Cristo è per il mondo come anche per il singolo: per te o per me. È sorprendente il fatto che, indipendentemente dalla nostra risposta personale a questo atto d’amore o dalla consapevolezza che si possa avere “il mondo è stato crocifisso” in Cristo. Ciò significa che l’umanità tutta è stata inseminata o inebriata dalla speranza, dall’eternità che fluisce dal Calvario.

Come vittima innocente, nella sua morte e risurrezione, ha posto fine al peccato e alla morte, offrendoci la gioia di pensare concretamente a un’esistenza intensa. Effettivamente, il “Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe, non è un Dio dei morti ma dei viventi!” (Marco 12:26-17).

In Gesù Cristo, la morte è stata ingoiata nella vittoria, così anche il peccato e il suo pungiglione (cfr. 1 Corinzi 15:54-58 Cei). Grazie a questo infinito dono, per fede, anche chi crede ha “vinto per mezzo del sangue dell’Agnello” (Apocalisse 12:11) e perciò, “noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Romani 8:37) e non per riconoscimenti personali. Salvati per grazia e non per opere, “altrimenti, la grazia non è più grazia” (Romani 11:5-6; cfr. Tito 3:5).

Gesù non solo ha annientato nella sua umanità tutto ciò che costituiva un ostacolo alla vita, ma questo percorso deflagrante è diventato per noi un’occasione per morire a noi stessi. Paolo afferma che “siamo morti al peccato” (Romani 6:2), perché “siamo stati battezzati nella sua morte, quindi sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita” (Romani 6:3-6).

Nota
1 “Acquistare” la salvezza nel senso che possiamo appropriarcene mediante un atto di fede e di abbandono, implicante la confessione della nostra impotenza e dei nostri peccati.

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

 

 

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