Francesco Zenzale – “Ma il padre disse ai suoi servi: ‘Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato’. E si misero a fare gran festa” (Luca 15:22-24).

“Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via” (Giovanni 14:1-4).

Io non so come vi immaginate la casa del Padre o se avete mai pensato, emozionandovi, di essere alla sua presenza e fra le sue braccia. Ascoltare la sua euritmica voce chiedere agli angeli di “preparare un bel bagno caldo”, di vestirvi di una “bellissima tunica merlata d’oro” e di predisporre una fastosa cena tutta per voi.

Vi assicuro che non sto pensando a una casa delimitata, costruita con mattoni e cemento, porte, finestre e arredata di mobili antichi, di specchi “giudicanti o vigilanti”1 o di ogni altra cosa che possa riflettere l’arredamento della nostra attuale dimora. Di abiti griffati, di prelibate portate e di un rave-party con applausi e musica goa-trance.

La casa del Padre è infinitamente spaziosa. C’è posto per tutti! Anche per te! La luce che la illumina fluisce da Dio ed è calda, penetrante e avvolgente (cfr. Apocalisse 22:5). L’ambiente è distensivo, tranquillo e i figli di Dio gioiscono alla sua presenza (vv. 3-4). La musica è armoniosa, soave e i dolorosi ricordi svaniscono a ogni carezza di uno sbalorditivo “papà”. La pace e l’eterna compiutezza permeeranno il nostro essere (20:1-8). Finalmente felici!

Attenzione! Non sto affermando che vivremo in una realtà di esseri disincarnati, anime eteree, concezione tipica di molti cristiani. Non è neppure il paradiso delle gioie sensuali, dei musulmani. La vita è totale, nel senso che coinvolge tutte le nostre nobili espressioni. Il corpo e la mente non saranno più logorati dal peccato, dalla fatica, dalla vecchiaia, dalle frustrazioni e dai sensi di colpa. Avremo un corpo inossidabile e un’intelligenza al massimo del suo rendimento. Vivremo per sempre (cfr. Giovanni 14:19) e in uno spazio in cui la verità non sarà inquinata dalle bugie, la bellezza dalle bruttezze e la vita pervasa dalla morte. Il luogo che il Signore sta preparando per noi è di uno splendore indefinibile. Giovanni lo riassume con le seguenti parole: “nuovi cieli e nuova terra” (Apocalisse 21:1; Is 65:17).

Comprendo quanto sia difficile affacciarsi a questa nuova realtà e osservarla con la prospettiva della risurrezione e della fede, soprattutto immaginare qualcosa di diverso rispetto alla nostra misera e aggrovigliata esistenza. Tuttavia, siamo sempre alla ricerca di un luogo, di un cantuccio tutto nostro. Uno spazio in cui ci riconosciamo e realizziamo di essere amati e amanti, stimati ed estimanti. Un luogo in cui il trionfo della giustizia è assicurato e la morte esiliata.

Questo eufonico spazio non è dentro di noi, come alcune discipline orientali insegnano, perché siamo fragili e senza difese (cfr. Matteo 15:19), ma possiamo modestamente ghermirlo se permettiamo al regno di Dio di abitare in mezzo o dentro noi (cfr. Luca 17:21). Un habitat spirituale, estensivo in cui nell’altro vediamo il volto del risorto (cfr. Atti 9:5; Matteo 25:35-40).2 Uno spazio in cui è possibile fiutare l’eternità, sentirne gli odori, l’armonia fra gli esseri viventi (cfr. Isaia 65:25) e sentirsi sospesi tra il cielo e la terra, con un acuto desiderio di essere al più presto con Gesù. In tal senso, il regno di Dio è una porzione d’eternità nel tempo della vacuità, del dolore e della cedevolezza esistenziale. Un respiro d’aria pulita in un mondo inquinato dal peccato.

Non è saggio rimandare questa “prelibatezza” nel giorno in cui Dio inaugurerà il suo regno, liberando per sempre questa valle di lacrime dalla sofferenza e dalla morte. Abbiamo il privilegio di “anticiparlo”, di “praticarlo” e di “condividerlo”. Giovanni, espone la sua estensiva esperienza nelle seguenti parole: “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita (poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata), quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia completa” (1 Giovanni 1:1-4).

Note
1 Gesù Cristo dovrebbe essere il riflesso della nostra persona e non noi stessi (cfr. Romani 8:29).
2 Moglie, marito, figli e in chi incontriamo ogni giorno per strada, nel supermercato, sul posto di lavoro, ecc.

 

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

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