Francesco Zenzale – “Dio il Signore fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì” (Ge 3:21).

Realizzare un abito di foglie di fico (cfr. Ge 3:7) pensando di nascondere la propria inadeguatezza è insensato, presuntuoso e da inetti. Per quanto tempo pensavano (Adamo ed Eva) di nascondere il loro disorientamento? Dopo aver saggiamente illustrato il modo in cui avrebbe agito in favore dell’umanità e le conseguenze della loro scelta di vita, Dio passa all’azione. Sostituisce l’abito “effetto natura”, oramai contaminata, con dei vestiti che hanno un significato messianico-esistenziale.

Indubbiamente, il testo evidenzia la sollecitudine divina verso degli esseri colpevoli. Dio ha cura di loro come un buon padre che provvede ai bisogni dei suoi figli, ma il gesto in sé, nel suo significato redentivo, ricorda il padre della parabola del figlio prodigo. Anche questo giovane si allontana da casa, «dall’albero della vita», tagliando i ponti o le radici con chi lo aveva generato. E dopo chissà quanto tempo, eccolo ritornare, vestito con abiti che evidenziano la sua miseria sociale, economica e spirituale. Non è forse partito ribellandosi al padre, rivendicando libertà e la gran voglia di essere come Dio? Certamente! Ma eccolo che ritorna! Il padre sa e lo aspetta.

Fra le tante premure espresse, ce ne sono due che colpiscono la mia immaginazione. Lo veste e ammazza il vitello ingrassato per festeggiare il suo ritorno. “Ma il padre disse ai suoi servi: ‘Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa’” (Lu 15:22-23).

Adamo ed Eva non sono stati allontanati dall’albero della vita indossando foglie di fico, cioè un vestito a misura d’uomo, senza la garanzia che un giorno sarebbero tornati a mangiarne il frutto (Ap 22:1-2). Il peccato aveva reso necessario che Dio stesso provvedesse al loro ritorno. Come? Con l’agnello “ingrassato” nella sua misericordia. “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1:29). Con la sua vita, morte e risurrezione Gesù ha realizzato l’unico percorso che ci permette di tornare a casa e di riassaporare il frutto dell’albero della vita. Paolo scrive: “Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Ro 5:8).

Le tuniche di pelle non indicano espressamente che Dio offrì il primo sacrificio in favore dell’umanità, ma non lo smentiscono. Dio poteva cucire degli abiti direttamente senza fare ricorso alla morte di altri esseri viventi (vitello o agnello). Ma se associamo il verso 21 al 15, dove si annuncia l’evento soteriologico in termini di sofferenza, morte e speranza, forse possiamo ritenere che effettivamente il primo atto sacrificale in favore dell’umanità sia stato compiuto da Dio e non necessariamente alla presenza di Adamo ed Eva. Sta scritto che il piano salvifico seguito da Dio sia stato definito “fin dalle più remote età” (Ef 3:8-9).

La redenzione è stata realizzata con e nella pelle di Cristo e non con foglie di fico, simbolo della nostra inezia. Pertanto, Cristo è “per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché, com’è scritto: ‘Chi si vanta, si vanti nel Signore’” (1 Co 1:30-31).

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