Francesco Zenzale – Indipendentemente dal suo concepimento miracoloso, e non poteva essere diversamente in considerazione del fatto che è “l’io sono” (Gv 8:58), Gesù era del tutto umano, soggetto a solitudine, sofferenza, malattia e alle variegate vicissitudini della vita. “Tutti i Vangeli dipingono Gesù con tratti caratteristicamente umani. Aveva una forma fisica e dei bisogni umani che ci sono familiari. In certe occasioni si sentì stanco (Gv 4:6), affamato (Mt 21:18), e assonnato (Mc 4:38). Manifestava anche delle emozioni umane. In un’occasione memorabile pianse di compassione per i suoi amici (Gv 11:35). Apprezzava la compagnia umana e soffriva quando le persone lo respingevano (cf. Gv 6: 66,67). In breve, sebbene egli fosse una personalità straordinaria, non c’è niente, nella descrizione che ce ne danno i Vangeli, che potrebbe spingerci a descriverlo come ‘anormale’ o ‘non umano’.

Indubbiamente l’aspetto più significativo dell’umanità di Gesù era la sua esperienza morale. Egli poteva essere tentato e sottoposto a diverse lotte spirituali. I Vangeli descrivono queste esperienze in termini molto vividi (Mt 4:1-12; 26:36-44; Mc 14:32-39; Lc 4:1-13; 22:39-42). La Lettera agli Ebrei sviluppa il significato teologico dell’umanità di Gesù in modo ampio. É proprio la sua umanità che gli consente di accompagnarci nel quotidiano come Sommo Sacerdote. Per rappresentarci davanti a Dio, doveva essere uno di noi, ed egli lo è (2:18; 4:15). Si sottomise a tutte le condizioni essenziali. Di conseguenza il suo ministero sacerdotale apre ‘la via recente e vivente’ che ci dà accesso alla presenza di Dio (Eb 10:20)” – Richard Rice, The reign of God, Andrews University Press, p. 116.

Il celebre passo di Filippesi specifica cosa l’incarnazione abbia comportato per la divinità di Gesù (2:5-8). Secondo l’apostolo Paolo, Cristo Gesù era in origine di natura divina e godeva dell’uguaglianza con la prima persona della divinità. Ma egli annichilì se stesso, si umiliò e divenne ubbidiente fino al punto di percorrere la strada della sofferenza e della morte.

L’enfasi della lettera ai Filippesi è posta sull’immensa condiscendenza presupposta dall’incarnazione. Ciò attira l’attenzione più sullo straordinario cambiamento di condizione che Cristo accettò diventando uomo, che sulle qualità divine che lasciò. Egli discese da una posizione di suprema sovranità a una di completa sottomissione. Da Signore che era si fece servitore di tutti. Invece di dare ordini li ricevette. Sottomise la sua volontà alla guida del Padre fino al punto da accettare la morte più umiliante di tutte.

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