Sarah Paris – Global Youth Day (Gyd), un’intera giornata dedicata all’evangelizzazione da parte dei giovani nei confronti di tutto il mondo; una giornata nella quale si ha l’occasione di mandare un messaggio e portarlo alle persone. Lo spirito che guida i ragazzi di tutto il globo è quello di essere manifestazioni viventi della potenza di Dio di cambiare le genti.

Sabato 16 marzo, è stato il giorno scelto per questo evento, perciò tutti i Compagnon e i giovani (GA) avventisti sono scesi nelle piazze e per le vie.

Ostia, municipio di Roma, ha ospitato il Gyd con circa sessanta ragazzi. Il tema dell’iniziativa era sensibilizzare contro le dipendenze. Oltre ai giovani della chiesa locale, vi erano rappresentanti delle chiese romane latinoamericana, filippina e di Piazza Vulture, della chiesa di Oriolo Romano e anche una piccola presenza arrivata da Genova.

La piccola ma accogliente chiesa di Ostia ci ha permesso di avvicinarci tra noi. La mattina, alcuni ragazzi hanno regalato canti, momenti di adorazione, preghiere e testimonianze che ci hanno arricchito e coinvolto. Le parole pronunciate durante il sermone ci hanno incoraggiato e sono state capaci di smuovere i nostri cuori e quelli dei membri della comunità. Il fulcro del sermone è stato ricordarci l’importanza di non chiudere gli occhi, di non voltare le spalle davanti alla gravità della diffusione esponenziale delle dipendenze e del gioco d’azzardo.

L’impatto dei giovani
Un messaggio donato alle persone da un gruppo di giovani è sempre potente e d’impatto, anche se resta difficile entrare in empatia con chi si incontra e affrontare temi tanto personali e «fastidiosi». Ovviamente ne vale la pena: tutto l’imbarazzo iniziale, la paura di non essere ascoltati o di venire rifiutati, o liquidati anche con indifferenza, vengono poi meno. Salutare, sorridere, porsi in modo educato e non invadente sono i primi passi per cominciare a rompere quel muro, mattoncino per mattoncino. La consapevolezza dell’importanza e dell’urgenza del messaggio da mandare, poi, è una spinta non indifferente anche per il più timido.

Fa un po’ impressione pensare che in quelle dodici ore della giornata, in ogni parte del mondo, ragazzi e giovani abbiano deciso di non rimanere in silenzio, di non fare finta di niente, ma si siano esposti facendo sentire la propria voce. Oggi, più di una volta, parlare con persone più grandi mette un po’ a disagio, ma (e lo dico per esperienza) quello che spaventa maggiormente è il confronto con i propri coetanei. La paura di non essere presi sul serio, l’imbarazzo di portare un messaggio che si sa essere fuori dal coro non sono indifferenti.

Oggi, forse più di qualche anno fa, si sente questa difficoltà, proprio perché viviamo in una società nella quale la comunicazione maggiormente promossa è quella dei social, dove le corde vocali stanno a riposo favorendo l’allenamento dei pollici. Una comunicazione nella quale gli sguardi e il contatto vengono svalutati e sostituiti da emoji o Gif. Dall’altra parte della medaglia, però, bisogna considerare quanto bene possa fare un ragazzo a un suo coetaneo, parlando sullo stesso piano, portando esempi concreti e comuni a entrambi, guardandosi negli occhi.

In cosa consisteva l’incontro in piazza?
Dopo esserci divisi in coppia o in gruppi di tre, ci siamo messi in gioco fermando i passanti, proponendo loro un test o un gioco in cui bisognava far uscire lo stesso numero per sei volte consecutive tirando un dado. Quasi impossibile, proprio perché è statisticamente provato che vi è più probabilità di vivere un incidente aereo che di vincere con i dadi. Nonostante queste informazioni venissero spiegate, alcuni hanno comunque deciso di tentare la sorte, affidandosi alla fortuna: «Non si sa mai». La fortuna, però, non li ha assistiti, lasciando ai giocatori un po’ di amaro in bocca.

Ovviamente, per non lasciare nessuno a bocca asciutta, ma soprattutto per far capire il significato di questo esperimento, donavamo un foglietto di carta biodegradabile e idrosolubile, all’interno del quale c’erano dei semini. L’obiettivo era quello di piantare il foglio e dare, poi, le attenzioni necessarie alle piantine che sarebbero nate, innaffiandole e curandole. L’impegno necessario nel prendersi cura di queste piante simboleggia l’importanza che dovremmo dare a noi stessi, senza trascuraci. Quante volte, infatti, diamo importanza alle cose sbagliate, che non fanno altro che nuocere alla salute nostra e delle persone a cui teniamo? Quante volte crediamo di riuscire a mantenere il controllo su un qualcosa, ma poi ci sfuggono le redini e tutto il mondo sembra crollarci addosso? Cosa possiamo fare noi, nella nostra vita e in quella degli altri, per evitare di trovarci soli quando cadiamo, senza nessuno a cui aggrapparsi o a cui chiedere aiuto?

In sostanza, muoversi tra le persone, portando un messaggio forte, non è mai semplice, ma non pochi sono stati i risvolti positivi. Molti si sono aperti con noi, altri hanno posto tante  domande, spinti dalla voglia di capire i veri rischi che si corrono lasciandosi andare. Altri ancora, invece, hanno deciso di condividere ciò che era stato appreso con i genitori, i colleghi di lavoro o gli amici. Parlare alla gente, diversamente da quanto si possa pensare, non è un dare a senso unico. La maggior parte delle volte, infatti, a prescindere dalle reazioni o dall’esito dell’approccio, siamo proprio noi stessi ad essere arricchiti sia dalle altrui testimonianze, dalle esperienze, dai sorrisi; sia dai rifiuti e dagli sguardi meno accoglienti. La ricchezza sta nel scegliere di continuare a sorridere riflettendo l’amore di Gesù, tentando di camminare sulle sue orme, tenendo sempre a mente l’impegno che abbiamo su questa terra.

Guarda il video del Gyd a Ostia.


Condividi