Marco Süss – Leggo in un articolo di Cristiano Gatti una statistica che mi lascia allibito: nel 2011 uno su dieci, nel 2012 tre su dieci; è questo il preoccupante numero di adolescenti fuggiti da casa. Da studi Eurispes sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, emerge che il 26,7 per cento scappa per disaccordi con i genitori, il 9,1 perché si sentono privati della libertà e il 4,5 si sentono incompresi. Ma, anche se limitato nel tempo, il fenomeno lascia molto perplessi, perché nasce nella famiglia, proprio dove un piccolo dovrebbe ricevere tutte le cure per uno sviluppo equilibrato e sano. E il fatto che la fuga sia durata, in genere, solo poche ore, non nasconde la gravità né rende vana la domanda che sorge spontanea: cosa sta succedendo ai nostri ragazzi?

«È sempre stato così!» potrebbe dire chi è nonno da tempo; il fatto è che se una volta i figli scappavano o accarezzavano tale desiderio per fuggire dalla pesante autorità paterna, ora non si può trovare in questo pretesto la motivazione delle fughe.

Pur rispettando le debite e sane eccezioni, dobbiamo riconoscere che in molte famiglie di oggi troppo spesso i genitori non assolvono, per incapacità o incuria, il ruolo di guide e consiglieri, e lasciano ai giovani una libertà di scelte dettata dall’emulazione di comportamenti che i programmi televisivi, a cui hanno accesso senza controlli e che vedono anche per ore al giorno, mostrano loro come ideale di vita. Così, abbiamo generazioni di bimbi tendenzialmente frustrati ad altri che non sanno dove andare; hanno davanti il mondo delle loro fantasie e delle favole che vengono loro propinate come modello di libertà e di realizzazione, e sono impreparati ad affrontare qualunque difficoltà, in famiglia o a scuola.

Ma questi atteggiamenti non saranno forse il prodotto dell’educazione di famiglie che oggi vengono presentate come «evolute», ma nelle quali è assente una guida autorevole e non esiste il «no»? Un no che viene dato dopo periodi di assenza educativa, viene preso come un rifiuto affettivo e provoca una reazione di rigetto, preludio a una fuga dalla famiglia e da ogni responsabilità.

Forse è il caso di fare il punto della situazione e incominciare a renderci conto che in un ambiente in cui non vengano presentati (e vissuti) comportamenti di sana educazione, proprio nel momento più delicato della formazione dei giovani, saranno altre fonti, incontrollate e indesiderate, a plasmare il loro carattere.

È necessario riscoprire il ruolo di educatori; fare partecipi i nostri piccoli alla vita familiare più che agli spettacoli poco educativi che seguono in televisione, e farli crescere in un ambiente in cui possano riconoscere la coerenza del comportamento dei genitori con i princìpi che vengono loro trasmessi; è importante riappropriarsi dell’antica saggezza provenienti da perle intramontabili: «Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà» (Pv 22:6). Se non lo faremo, temo che la percentuale di giovani in fuga potrà crescere ancora.

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