Nelu Burcea, rappresentante della Chiesa avventista presso le Nazioni Unite, riflette sul recente anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Settant’anni fa, la comunità internazionale stipulò un accordo rivoluzionario per sostenere una serie di princìpi e valori condivisi, che avrebbero guidato l’umanità nel suo futuro. Sette decenni dopo, quell’accordo, vale a dire la Dichiarazione universale dei diritti umani, è diventato parte integrante del panorama internazionale e l’espressione dominante dei vari diritti che le nazioni devono salvaguardare affinché i cittadini possano vivere un’esistenza piena e dignitosa. Oggi, la Dichiarazione è disponibile in un numero sempre crescente di lingue e dialetti – 514 secondo gli ultimi dati – divenendo così, secondo il Guinness dei primati, il documento più tradotto al mondo.

La Dichiarazione è stata chiamata idealistica e certamente ha una visione olistica molto ampia dei diritti umani, che comprende un’ampia gamma di valori sociali, politici ed economici. Tra i suoi 30 articoli è enunciato il diritto all’uguaglianza di fronte alla legge; il diritto a non essere discriminati; il diritto alla libertà di riunirsi; il diritto al lavoro e all’istruzione; e il diritto alla libertà dalla detenzione arbitraria. Anche lo svago, il riposo, partecipare alla vita culturale, artistica e scientifica della propria comunità sono diritti sanciti dal documento.

Eleanor Roosevelt, che lavorò instancabilmente per mobilitare le Nazioni Unite attorno alla Dichiarazione, nutriva grandi speranze su ciò che un simile accordo internazionale avrebbe potuto significare. “Se riconosciamo questi diritti a noi stessi e per gli altri” affermò “sarà più facile costruire la pace nel mondo”.

Lo scorso anno, per sottolineare l’importanza della Dichiarazione universale sui diritti umani, l’Onu ha lanciato una campagna di sensibilizzazione durata per l’intero 2018 e culminata il 10 dicembre, con l’obiettivo di far riprendere confidenza a tutti nel mondo con i diritti umani fondamentali. È stato un tentativo, in un’epoca in cui la violenza e la repressione continuano a dominare i titoli dei media, per sottolineare l’urgente necessità di concordare un insieme di norme fondamentali sui diritti umani. “Assicurare che questa Dichiarazione universale sia la luce che brilla e guidi il modo in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri” è l’obiettivo evidenziato da Michelle Bachelet, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Per me, in quanto persona di fede, l’articolo 18 della Dichiarazione ha un significato speciale. Esso recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; talediritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”.

Sebbene l’articolo 18 si riferisca specificamente alla libertà religiosa, questa non è un diritto umano isolato e autonomo. È inestricabilmente legato a molte altre libertà fondamentali, come la libertà di riunione, la libertà di pensiero, la libertà di espressione e così via.

In più suggerirei, in quanto avventista del settimo giorno, che esiste un’espressione dell’articolo 18 ancora più fondamentale e precedente. Quando leggo la Bibbia, apprendo che siamo tutti nati liberi e uguali; che ogni essere umano ha ricevuto la scintilla divina dal suo Creatore; che ogni uomo, donna e bambino è uguale davanti a Dio in valore e dignità. Anzi, la Scrittura ci insegna che ogni persona ha il diritto – anzi, l’obbligo – di scegliere liberamente se adorare Dio e seguire la sua volontà.

Cosa significa questo per noi avventisti? Cosa significa per me che rappresento la chiesa alle Nazioni Unite?

Significa che abbiamo la responsabilità continua di difendere la libertà di religione, o di credo, per ogni persona, indipendentemente dalla nazionalità, dalla cultura o dalla tradizione religiosa. Indipendentemente dal fatto che siamo d’accordo con le sue convinzioni oppure no.

Significa, e secondo me è la cosa più importante, difendere questa libertà non solo perché è un diritto umano fondamentale, ratificato dalla comunità internazionale, ma perché riflette il carattere d’amore di Dio. Pe questo dobbiamo continuare a promuovere la libertà di religione o di credo.

Ascolta il programma di Radio Voce della Speranza andato in onda il 10 dicembre, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani dell’Onu. Interviste a Lorella Rotondi, docente di un liceo fiorentino; Teresa Manes, madre di un ragazzo vittima di cyber-bullismo; Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia; e con Severino Saccardi, direttore di Testimonianze.

 

 

 

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