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«La vita fuori fa schifo. Tutti di corsa, tutto di corsa, in una continua gara; un sacco pieno di domande e nessuna risposta, pretendono tanto da te ma tu non puoi pretendere niente da nessuno» così mi scrive una studentessa universitaria con cui avevo scambiato qualche riga ai tempi del liceo, quando era scivolata nell’anoressia che ora torna a minacciarla: «Ho ricominciato a perdere il peso recuperato, mi sono isolata dagli amici, mi chiudo in casa a studiare e non voglio più vedere nessuno. Tutti i medici che mi seguono ritengono che la malattia si stia nuovamente facendo largo.
Mi rifiuto di crederci. Che cosa sto facendo? Sto solo assecondando il mondo, che ti vuole perfetto, magro, taglia 32, laureato con 110 e lode, figo, con una lavoro stabile e a tempo indeterminato, una famiglia e dei figli, a loro volta perfetti. La vita fuori, il mondo fuori, fa davvero così schifo? Qual è il segreto per vivere?».
La risposta possiamo cercarla insieme proprio a partire dal tuo dolore. Mi è sempre più evidente infatti che il vostro corpo urla la ferita che portiamo tutti ma che ora è più infiammata, la ferita dell’origine: non sentirsi abbastanza voluti, non sentirsi figli, quindi non gioire d’esser nati. Come curare questa ferita alla fiducia primaria nella vita, che è quella filiale?
Così inizia la rubrica “Ultimo banco” del professor Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera di oggi, dal titolo “Il segreto”. Claudio Coppini e Roberto Vacca prendono spunto da questo articolo per sentire un parere del pastore avventista Saverio Scuccimarri su alcuni dei temi che emergono dalla testimonianza drammatica riferita da D’Avenia: aspettative irrealistiche, ansia da prestazione, criteri sbagliati di valutazione di se stessi e degli altri e soprattutto la genesi di ogni dolore: il non senitrsi figli davvero accolti dai nostri genitori per quali siamo o siamo stati. Il messaggio evangelico su questi temi può dirci qualcosa di molto importante, perfino decisivo.