Corrado Cozzi/EUDNews
– Parlare di rifugiati è sicuramente all’ordine del giorno in questi tempi. Le prime pagine dei giornali di tutto il mondo dedicano uno spazio al fenomeno che sta «invadendo» il nostro quotidiano, e a giusta ragione. Tra accordi governativi e decreti legislativi, l’attenzione posta sui rifugiati diventa sempre di più prominente.

Ma una cosa è leggere sui giornali le dichiarazioni amministrative che tendono a salvaguardare il diritto dei propri cittadini, cercando di proteggerli dall’infausta invasione (creando un’opinione pubblica controversa), altra cosa e informarsi direttamente sul posto.

È quello che ha fatto una delegazione della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno. Dag Pontvik (direttore di ADRA Italia), Daryl Gungadoo (ingegnere di AWR Europa), Paolo Mariotti (operatore di Hope Channel Italia), Corrado Cozzi (direttore del dipartimento Comunicazioni all’EUD) si sono ritrovati a Lampedusa, dal 30 gennaio al 1° febbraio, con l’intento primario di valutare quale tipo di collaborazione e contributo può operare la chiesa avventista in favore dei migranti.

Non sono poche le associazioni governative e non governative che già operano sul territorio. Sono associazioni volontarie, come Mediterranean Hope, Askausi, la stessa parrocchia insieme a un Forum composto anche da alcuni abitanti sensibili a questa emergenza. Tutti sono desiderosi di contribuire praticamente all’accoglienza di questi ragazzi scappati dalla disgrazia del loro paese, ma molto di più dai maltrattamenti subiti in un viaggio estenuante che li ha visti anche affrontare la morte.

È scaturito un incontro più che positivo, dove la presa di coscienza dovrebbe (e lo farà) far scattare ancora di più la molla della solidarietà e della collaborazione.

«Non c’è bisogno di venire qui», afferma Alberto Mallardo, co-responsabile della sezione Mediterranean Hope, insieme ad altri quattro componenti, tutti giovani ed estremamente impegnati, «quello che realmente conta è accoglierli quando arriveranno nei paesi obiettivo del loro esodo».

Gli fa eco don Carmelo La Magra, parroco della chiesa cattolica di Lampedusa e già responsabile dell’Associazione Migrants di Agrigento, che si occupa principalmente di consulenza materiale e spirituale. «Qui a Lampedusa i ragazzi (così sono chiamati i migranti) ricevono assistenza spirituale e materiale. Diciamo loro quali sono i loro diritti, li informiamo su quello che li aspetta. Sì, hanno anche bisogno di scarpe, ma numeri alti, e di biancheria intima», afferma sorridendo don Carmelo.


Per meglio coordinare gli interventi umanitari operati dai volontari che si trovano a Lampedusa, è stato organizzato un Forum. Obiettivo è quello di incontrare i ragazzi e aiutarli a superare la tragedia del loro viaggio. «Ciò che più sconvolge e sentirli parlare dei loro amici che annegavano davanti ai loro occhi», afferma Paola Larosa, «e ascoltare le loro tristi storie». Paola è impegnata su un fronte umanitario di tutto rispetto. Il suo compito, tra gli altri, è quello di dare dignitosa sepoltura ai ragazzi che non ce l’hanno fatta. Si è imposta di cancellare dalle lapidi la semplice frase «Migrante, di colore nero, sconosciuto», e di sostituirla con una più dignitosa, che spiega chi c’è dietro quella lapide, la causa della sua morte, una data e la semplice riflessione: «Qui riposa».

«Quello che vorrei fosse trasmesso è che qui noi non ci sentiamo invasi dai migranti, e siccome sono arrivati qui, è nostro dovere aiutarli a riconquistare quella dignità che hanno perduto, soprattutto lungo il viaggio in Libia, dove non tutti ne escono illesi», racconta Paola e ci chiede di trasmettere questa immagine che rende onore agli abitanti di questa piccola isola del Mediterraneo.

Durante la nostra permanenza sull’isola, abbiamo avuto modo di incontrare diversi ragazzi e dialogare insieme. Le loro storie sono una conferma di quanto ci era stato detto. «No, in Libia non ci torno più! Un inferno», dice un migrante con le lacrime agli occhi. «Ci hanno trattato come bestie, schiavizzati, torturati. Molte ragazze erano costrette a entrare nelle camere dove degli uomini abusavano di loro, pagando chi trae profitto da questo infimo commercio del corpo». Molte ragazze arrivano incinte, disperate per la terribile avventura vissuta, ma decise a mantenere i propri bambini, perché loro non c’entrano nulla.

«Ma voi sapevate che il viaggio che avreste intrapreso vi avrebbe portato a vivere queste tragedie?», chiediamo. La loro risposta è lapidaria: «No! Noi volevamo andare a lavorare in Libia, mai ci saremmo aspettati una simile situazione». «Se aveste l’opportunità, avvertireste i vostri amici di non partire?», chiediamo ancora. L’opportunità la offre loro Mediterranean Hope che ogni pomeriggio permette a questi ragazzi di mettersi in contatto, via computer, con parenti e amici. Una parte di loro ha un contatto Facebook, o Skype, o il numero di telefono.

«Questo non è solo un impegno», dice Marta, collaboratrice e una delle ideatrici di Mediterranean Hope, «è un dovere che ci sentiamo nei loro confronti».

Daryl Gungadoo ha proposto di installare un Internet Point con un più ampio raggio di azione, che snellirebbe sensibilmente il traffico operato tramite la sede di Mediterranean Hope. «Sarebbe straordinario», esclama Alberto, evidenziando la necessità di potenziare i contatti dei ragazzi con le loro famiglie.


Dag Pontvik ha confermato un piano di collaborazione per un progetto a favore di alcuni migranti impegnati a imparare un mestiere utile quando ritorneranno nel loro paese. Per capire meglio, ci siamo spostati da Lampedusa a Castel Volturno, il 3 e 4 febbraio, dove abbiamo incontrato quanti beneficiano del progetto di ADRA Italia.

«Questo è un progetto realizzato insieme alla cooperativa “Al di là dei sogni”, diretta da Simmaco», spiega Elisa Gravante, manager director del progetto. La cooperativa si trova a Castel Volturno, su una proprietà confiscata alla camorra, e accoglie i migranti provenienti proprio da Lampedusa. Un progetto che dovrebbe essere riconosciuto per il lodevole impegno nel ridare dignità a quanti l’hanno perduta lungo l’esodo, obbligato e disperato, al quale si sono sottoposti inconsapevolmente.

«Siamo riconoscenti a Simmaco e a Elisa Gravante di ADRA Italia per l’opportunità che ci è stata data», sorride soddisfatto David, uno dei nove migranti, «Questo mi permette di imparare un mestiere e di aprire un’impresa agricola quando ritornerò nel mio paese».

E non è il solo a pensarla così. «Il mio sogno è che questa azione di ADRA Italia possa essere un invito per l’Europa a condividere questo impegno, perché insieme saremo più forti», dichiara Simmaco, imprenditore con un forte senso del dovere nei confronti di questi ragazzi che hanno una lodevole volontà di imparare.

Nella settimana in cui, a La Valletta (Malta), si sono incontrati i «grandi amministratori» dell’Europa, per decidere come combattere il flusso migratorio che invade i nostri paesi, proprio in un’isola vicina, a Lampedusa, una delegazione di ADRA Italia e AWR, coordinata dalla Divisione Intereuropea della Chiesa, si incontrava con quei migranti oggetto di tanto dibattito.

«Abbiamo ascoltato le loro storie, abbiamo pregato insieme, visto che la stragrande maggioranza di questi ragazzi africani è cristiana», conclude Corrado Cozzi, «non nascondo che abbiamo anche pianto insieme. Vorremmo fare di più. È un dovere morale di tutti. Ci stiamo organizzando».

 

Mini video informativi


Progetto Rifugiati Lampedusa
Amatrice

CastelVolturno

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