Ennio BattistaSono scomparse le facce autentiche dalla tv. Sì, quelle che mostrano i segni del tempo, le rughe di una vita, l’unicità di una persona. Sono scomparsi i volti delle donne che non siano freschi di gioventù o ricostruiti dal bisturi. È stata bandita, in altre parole, la vecchiaia dai mass media. Un grido di allarme è uscito dall’iniziativa di donne come Rossella Zanardo, che ha dedicato un documentario e un libro (Il corpo delle donne, Feltrinelli) sull’uso distorto dell’immagine femminile in spettacoli televisivi e pubblicità «regresso». Capita allora di vedere una signora, ormai abbondantemente negli «anta», piangere in diretta tv per la malattia della figlia e non vedere nella faccia di lei, resa plasticosa dalla chirurgia estetica, l’espressione tipica di chi prova dolore. Siamo indotti a considerare oramai l’universo estetico popolato solo da bellezze «perfette» per magia degli effetti del trucco televisivo o dei fotoritocchi al computer.

Ogni epoca ha i suoi modelli estetici. La nostra impone quello della perfezione. Non c’è spazio per i volti con difetti o, peggio, sgradevoli. E noi sperimentiamo la realtà estetica con questi modelli e cerchiamo di imitarli, presentando sempre e comunque il nostro lato migliore. Forse per trovare un momento di gloria e di ammirazione in foto ben inquadrate e «postate» su Facebook.  Ma se mi abituo a considerare solo questo tipo di estetica, come l’unico «giusto» e vincente, che ne è del mio sguardo che si posa sui visi di chi soffre, di che è poco attraente? Si volterebbe dall’altra parte, disabituato com’è a non osservare più la disarmonia. Che direbbe Gesù di tutto questo, capace di guardare con coraggio e dignità negli occhi persone come l’indemoniato di Gerasa? Un uomo che ha perduto le sembianze umane, un teschio vivente che si aggira urlante tra le paludi, scansato dalle persone «normali». Una persona che ha perso la sua identità esterna, espressione del suo smarrimento totale interiore. Lo sguardo di Gesù è abituato a cogliere la sofferenza dagli occhi delle persone, prima ancora che parlino. E grazie a quello sguardo di accoglienza, amore, restituisce loro la dignità. Sì c’è bisogno di recuperare il senso dell’imperfezione, affinché il dolore dell’altro non urti più la mia sensibilità addomesticata da immagini patinate, private della storia autentica dei loro sentimenti.

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