La domanda più importante
30 Ottobre 2025

In collaborazione con la redazione della rivista Il Messaggero Avventista.

La domanda più importante
30 Ottobre 2025

In collaborazione con la redazione della rivista Il Messaggero Avventista.

Il modo in cui concepiamo la morte influenza il nostro presente.

Lev Tolstoj visse una crisi esistenziale a cinquant’anni, che lo portò sull’orlo del suicidio. Lo scrittore russo approfittò di questo momento drammatico per scrivere una delle sue opere più significative. La confessione (1882). Nel libro, descrive i dubbi, le incertezze, le paure e le speranze del suo cuore, rivelando al contempo le ragioni che lo portarono alla crisi di fede e al rischio di porre fine alla sua vita

Durante questa esperienza, Tolstoj si pose quella che definì “la domanda più importante”.

“La mia domanda, quella che a cinquant’anni mi conduceva al suicidio, era la domanda più semplice, che giace in fondo all’animo di ogni uomo… quella domanda senza la quale la vita è impossibile. La domanda era questa: ‘Cosa ne sarà di ciò che faccio oggi o farò domani? Cosa ne sarà di tutta la mia vita?… Perché dovrei vivere, perché desiderare qualcosa o fare qualcosa?’. Si può anche formulare così: ‘Vi è nella mia vita un qualche senso che non venga annullato dalla morte che incombe inevitabilmente su di me?’”.

Questa citazione rivela l’angoscia esistenziale di affrontare l’assenza totale di significato, ma si riferisce anche alla morte, quel nemico dell’umanità che pone un limite temporale all’esistenza e solleva tutta una serie di interrogativi. Mi interessa il rapporto che Tolstoj stabilisce tra la morte e il nostro modo di vivere oggi: “‘Vi è nella mia vita un qualche senso che non venga annullato dalla morte che incombe inevitabilmente su di me?”.

In effetti, la comprensione che abbiamo dello stato dei morti è strettamente correlata a chi siamo ora e a come viviamo la nostra realtà. In questo senso, va ben oltre il sapere se coloro che sono morti siano ora in paradiso, all’inferno o dormano fino al ritorno di Gesù.

Pertanto, affrontiamo prima il concetto di morte e poi analizziamo il modo in cui la nostra concezione può cambiare la prospettiva della vita.

Progetto originale
Quando i cristiani cercano di comprendere il concetto di morte, il punto di partenza è il racconto biblico della creazione della vita, poiché morire vuol dire cessare di vivere. Ritornare alla creazione dell’uomo nella Genesi ci aiuta a capire come l’essere umano venne formato: polvere della terra più alito vitale dà come risultato l’essere vivente (Genesi 2:7; Giobbe 33:4).

Il racconto biblico ci rivela anche la presenza di un progetto originale per noi, che include la possibilità di un’esistenza eterna, in contrapposizione all’immortalità dell’anima.[1] L’idea del progetto originale di Dio implica che l’essere umano non sia un caso. Non siamo destinati a nascere, soffrire e poi scomparire per sempre. Inoltre, in questo progetto originale, il corpo è una componente inseparabile della nostra vita.[2]

Concependo l’essere umano come un tutt’uno (non esiste un’“anima” che abbia vita staccata dal corpo), comprendiamo che la morte non separa il corpo da un’anima immortale. Piuttosto, la morte è la fine ultima dell’esistenza intera; nessuna funzione della vita umana sopravvive alla morte. Lo spirito (ruach nell’Antico Testamento e pneuma nel Nuovo Testamento) ritorna al Signore alla morte, ma non ha vita o esistenza cosciente propria indipendente dal corpo (Salmo 146:4; Ecclesiaste 12:7; Giobbe 34:14, 15; Luca 23:46; Atti 7:59)

Impatto nella vita quotidiana
Il racconto biblico mostra che la nostra anatomia è adattata a quel progetto originale: “li creò maschio e femmina” (Genesi 1:27). In questo senso, il corpo e la sua anatomia sono trascendenti quanto la “vita interiore” (mente e spirito), non solo per preservare la vita presente, ma anche per trascendere alla vita eterna (il dono immeritato della grazia di Dio).

Oggi, invece, la società considera il corpo come un elemento malleabile e adattabile, che può essere modificato per trasformare la nostra vita interiore…

Pertanto, la Bibbia afferma che una corretta comprensione della morte (la realtà futura che attende tutti noi, a meno che Cristo non ritorni prima) ci porta ad apprezzare e valorizzare la vita presente. E ciò implica fare pace con il corpo che Dio ci ha donato, e rispettare quel progetto originale prendendoci cura della parte fisica per proteggere e promuovere il nostro benessere generale. Viviamo in un mondo di peccato e soffriamo nel corpo, nella mente e nello spirito, ma molto presto Dio sradicherà la morte dall’universo, come ci ricordano i testi biblici di 1 Corinzi 15:26; Apocalisse 20:14; 21:8.

Al ritorno di Cristo, Dio trasformerà finalmente il corpo di tutti coloro che hanno vissuto secondo questa speranza in comunione con Gesù. E lo porterà alla perfezione del progetto originale. Allora il dolore, la malattia e la morte non esisteranno più e non potranno nuocere alla nostra esistenza eterna. Mentre attendiamo quel momento glorioso, possiamo trovare vita, appagamento e benessere integrale nel rispettare e prenderci cura di quel disegno originale.

Note
[1] L’umanità ha ricevuto la vita da Dio, ma gli esseri umani non hanno vita in se stessi (Atti 17:25, 28; Colossesi 1:16, 17).
[2] La Bibbia insegna che ogni persona è un’unità indivisibile. Corpo, mente e spirito funzionano in stretta collaborazione, rivelando una relazione intensamente interdipendente tra le facoltà spirituali, mentali e fisiche di una persona (Luca 1:46, 47; Matteo 10:28; 1 Corinzi 7:34; 1 Tessalonicesi 5:23).

Marcos Blanco

[Fonte: adventistreview.org/. Traduzione: Lina Ferrara HopeMedia Italia]

 

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