Davide Romano – È ormai nota a tutti la vicenda accaduta il 19 aprile, presso una chiesa cattolica di Gallignano, frazione di Soncino, un piccolo comune del cremonese.

Don Lino Viola celebra la messa in presenza di una quindicina di persone ben distanziate e munite di protezione, ma la forza pubblica, nello specifico i carabinieri, fanno ingresso nel luogo di culto e interrompono a più riprese il rito per intimare al prete di sospendere ogni celebrazione, e avviano la identificazione dei presenti, in applicazione delle norme contenute nell’ultimo Dpcm del 10 aprile 2020 recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020 n. 19, contenente misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19”.

Orbene. L’articolo 1, comma 1, punto i, del suddetto Decreto, statuisce che: “L’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da  evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai  frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro. Sono sospese le cerimonie civili e  religiose, ivi comprese quelle Funebri”.

A scanso di equivoci: come avventisti del settimo giorno siamo rispettosissimi delle giuste prerogative che lo Stato laico esercita, specie, come in questo momento storico, quando c’è da preservare un principio costituzionale (art. 32) che impone la tutela della salute pubblica e degli individui.

Cionondimeno, siamo in presenza di un episodio emblematico che impone una riflessione, anche alla luce degli inquietanti fatti che stanno accadendo, perfino in alcuni Paesi europei, sul fronte della compressione fortissima delle garanzie democratiche e dello stato di diritto: si pensi al voto parlamentare che ha conferito poteri illimitati e senza scadenza al premier Viktor Orbàn in Ungheria, con la precisa motivazione di dover affrontare l’emergenza sanitaria.

Si pensi persino al tentativo, certo non equiparabile all’esempio ungherese ma comunque significativo, di ottenimento di poteri speciali esperito dal primo ministro svedese Stefan Löfven. Ovvio che in Italia non siamo difronte a un simile pericolo ma l’insistenza unilaterale e un po’ tranchant sulle opportune misure di contenimento della pandemia, senza tenere sufficientemente conto anche della natura di un altro diritto costituzionale quale quello alla libertà religiosa, che si sostanzia in una concreta libertà di culto, determina una situazione di obiettiva compressione di un diritto fondamentale della persona. Non sfugge a nessuno la pregnanza del primum vivere, sia detto chiaro: ma cosa sarebbe cambiato nella circostanza concreta di Gallignano se la forza pubblica avesse atteso la fine dell’ormai iniziata celebrazione per poi eventualmente identificare i presenti e se del caso sanzionare il parroco?

Non disquisiamo sulle ragioni del parroco, e non intendiamo certo avallare forme scomposte di esercizio della libertas ecclesia da parte del cattolicesimo romano in affronto alle prerogative dello Stato laico, ma il carabiniere che pretende di sospendere la consacrazione dell’ostia non fa fare una bella figura alle istituzioni repubblicane. Anzi, si rischiano contraccolpi e rigurgiti di clericalismo, specie in alcune aree ideologiche, di cui il nostro Paese non ha davvero bisogno.

Per la cosiddetta “fase 2” ci si attende che vengano chiarite le misure di profilassi da adottare per consentire alle comunità di fede di tornare a riunirsi fisicamente in un luogo. Ci si attende che, con le dovute cautele, sia nuovamente possibile celebrare i riti e, per i ministri di culto, esercitare i compiti propri della cura d’anime e dell’assistenza spirituale. Si auspica che le norme vengano redatte con acume politico, evitando cioè di trasporre un incongruo quanto insostenibile “giurisdizionalismo sanitario” in seno alle comunità religiose. Ci si augura infine che siano pensate non soltanto per rispondere alle esigenze della chiesa di maggioranza, che sembra aver già ricevuto ampie rassicurazioni al riguardo, ma anche per le esigenze delle diverse minoranze religiose del nostro Paese, che non di rado si sono trovate costrette a vestire un abito cucito addosso ad altri.

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