Il conflitto è una realtà, dentro e fuori di noi. Gesù ci chiama a “lottare” e impegnarci per ben altro: essere costruttori di pace
Anthony MacPherson – Il nostro mondo è un mare di forze in costante competizione e conflitto. Politiche identitarie, guerre culturali, scontri tra civiltà, tensioni etniche, conflitti razziali, contese ideologiche, cultura dell’annullamento, capillarità dei social, confini insanguinati, proteste, rivolte, insurrezioni. Ovunque è una competizione e una lotta. È rimasto ben poco della pace originale che benedisse il mondo quando Dio lo creò.
Pochi di noi amano il conflitto, ma è inevitabile. Lo troviamo ovunque, anche dentro noi stessi. Eppure, mentre il mondo è sommerso da un fiume di rabbia, Gesù spiega che i discepoli del suo regno non devono combattere come fanno i regni terreni (Giovanni 18:36). Dobbiamo essere costruttori di pace. Le nostre armi e il nostro combattimento devono essere diversi. Bisogna essere come Cristo. Un misterioso enigma quello dei combattenti pacifici.
Invece di scontrarsi con gli altri, occorre comprendere che c’è un conflitto in atto più vicino a noi. Gesù ci dice che dobbiamo “lottare” per passare dalla porta stretta per seguirlo (Luca 13:24). Una lotta che potrebbe essere contro la nostra stessa pigrizia; potrebbe trattarsi della paura delle opinioni e delle critiche degli altri, o potrebbe essere la facile e allettante popolarità offerta dalla via larga. È difficile andare controcorrente.
L’apostolo Paolo sentiva questa lotta nel suo stesso essere. Ogni giorno si rendeva conto che doveva combattere. Affrontava la vita per Dio con lo stesso impegno che un atleta infonde nella sua pratica sportiva. Paolo sapeva che avrebbe avuto bisogno di disciplina, allenamento, energia e impegno (1 Corinzi 9:24-27). Ogni giorno era una lotta. A compensare questo fatto scoraggiante, c’era la consapevolezza dover combattere “la buona battaglia della fede” (1 Timoteo 6:12, TILC). Questa battaglia non è una delle lotte terrene, inutili, piene di ferite profonde, vittime e vite distrutte. Combattere con fede significa farlo con la fiducia che Gesù è con te. Significa essere cosciente del fatto che hai già afferrato la vita eterna, hai già le mani strette su di essa (v. 12).
Mentre sperimenti già ora questa eternità con Dio, aspetta con ansia la corona di giustizia che Cristo ti porrà personalmente sulla testa (2 Timoteo 4:7, 8)! Una consapevolezza che ispirò Paolo a lavorare molto e a sacrificarsi volontariamente (1 Timoteo 4:10).
Ammetto che tutti questi sforzi e queste lotte sembrino estenuanti. Vorrei che fosse diverso, ma sappiamo tutti che la vita è così. Non possiamo permetterci di soffermarci troppo sulle difficoltà della lotta e lasciarci demoralizzare. Dobbiamo tenere a mente la bontà della battaglia, la sensazione di eternità nelle nostre mani e la certezza della vittoria.
Inoltre, possiamo consolarci sapendo che non stiamo lottando da soli; ci incoraggia vedere gli altri (Filippesi 1:30). Ancora meglio, possiamo impegnarci al massimo per il prossimo, perché Gesù opera in noi con potenza, come dice il testo biblico di Colossesi 1:29. Ed è possibile parafrasare questo versetto così: “Io lotterò con tutta l’energia che Cristo alimenta con forza dentro di me”.
Gesù ci dà vigore nella nostra lotta per lui. Questa lotta è sua quanto nostra, perché ci vede come suoi. Gesù fa tutto ciò per noi perché egli stesso ha affrontato la lotta più grande (Ebrei 12:1-4). Nella sua divinità, Dio è intoccabile ma, nel momento in cui Gesù ha assunto la nostra carne, è entrato nel mondo umano dei conflitti e della fatica straziante. Ha combattuto con forza e ha sofferto il dolore e l’esaurimento. È stata una battaglia dal primo all’ultimo suo respiro. Tutto questo lo rende il compagno perfetto in questa lotta così estenuante e nella corsa faticosa in cui ci troviamo. E ricorda: Gesù ha vinto!
(Anthony MacPherson è docente all’Avondale University College, in Australia).
[Fonte: record.adventistchurch.com / Tradotto da Veronica Addazio]