Michele Abiusi – Il tema della riflessione odierna è l’ultima Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo. Erano i giorni finali della sua vita e il Maestro chiese ai discepoli di preparare la cena pasquale. Ma mentre mangiavano, Gesù compì dei gesti che avrebbero accompagnato la chiesa per duemila anni e sostituito il rituale della Pasqua ebraica: Gesù istituì quella che i primi cristiani chiamavano la “Cena del Signore” (1 Corinzi 11:20) e che oggi è conosciuta con il nome di “santa Cena”, “comunione” o “eucarestia”.

Il testo del Vangelo così si esprime: “Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: ‘Prendete, mangiate, questo è il mio corpo’. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: ‘Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio’” (Matteo 26:26-29).

L’importanza dei gesti e delle parole di Gesù sono legate alle verità fondamentali che questo rito contiene e che si possono riassumere in due punti.

1. Valore della morte di Gesù. Il pane e il vino parlano del corpo e del sangue di Gesù, cioè della sua morte. I cristiani da sempre hanno percepito la morte di Gesù come l’atto culminante dell’incarnazione di Dio e del suo amore. Dio ha sempre saputo che divenendo uomo sarebbe morto. Malgrado fosse consapevole, non si è tirato indietro, anzi, ha accettato la sofferenza come parte della sua scelta, lasciandoci così due lezioni essenziali: la sofferenza va accettata e affrontata; Dio non ci lascerà mai, neppure nei momenti più difficili, poiché il suo amore è più forte della morte.

È interessante notare che l’apostolo Paolo definisce Cristo “nostra Pasqua” (1 Corinzi 5:7) e che Giovanni Battista definì il Signore “agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29). Cosa volevano dire con queste parole?

Morendo in croce Gesù ha messo fine a tutti i sacrifici. Continuare a uccidere agnelli, a Pasqua, non ha più senso. Mangiare l’agnello pasquale, dando a questo pranzo un valore religioso, sarebbe rinnegare ciò che nostro Signore ha fatto per noi duemila anni fa. In croce Dio ci rivela che adesso il perdono e la salvezza non dipendono più dal numero di cerimonie o dalla quantità di sangue versato, ma unicamente dal suo amore. Ricevere il pane e il vino è ricordare che Dio ci ha amati e ci amerà sino alla fine; è accettare la salvezza in dono.

2. Certezza del ritorno del Signore. “Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Corinzi 11:26). Questa cerimonia ci proietta in quel futuro meraviglioso, quando Gesù ritornerà e vivremo di nuovo ed eternamente con lui e con i credenti di tutte le epoche.

Così la “comunione” attualizza due esperienze fondamentali per il credente: una collocata nel passato, cioè la morte e la risurrezione di Cristo, e l’altra nel futuro, cioè il suo ritorno e la risurrezione di tutti i credenti.

Significato 
Ma per beneficiare appieno dei valori della “comunione” o della “Cena del Signore” dobbiamo capire il senso delle parole del Cristo quando disse: “Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne” (Giovanni 6:51)

Nel mangiare il pane e nel bere il vino, mangio realmente il corpo e bevo veramente il sangue di Cristo? Oppure sto vivendo in gesti e con fede il progetto di Dio che ci vuole partecipi della sua parola e della sua vita?

Questa domanda ha diviso la cristianità da secoli. Ancora oggi molti cristiani credono che sull’altare si compia il miracolo della trasformazione degli elementi della comunione (transustanziazione) e il pane e il vino diventino vero corpo e vero sangue di Cristo. In altre parole, si crede che il sacrificio di Gesù si ripeta ogni giorno e in ogni chiesa, perché il fedele sia sicuro del perdono e della salvezza.

Preferisco rispondere a queste tradizioni con le parole dello stesso Gesù riportate nel Vangelo di Giovanni: “Gesù disse loro: ‘Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete; poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. È lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità; le parole che vi ho dette sono spirito e vita” (Gv 6:35, 40, 63).

Alla fine di questo discorso difficile di Gesù molti lo abbandonarono, ma Pietro, posto di fronte alla scelta, riconobbe: “Simon Pietro gli rispose: ‘Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Giovanni 6:68,69).

Inoltre l’apostolo Paolo scrisse a coloro che volevano continuare a compiere sacrifici per ottenere il perdono: “Gesù, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio” (Ebrei 10:12).

Questi testi ci fanno capire chiaramente che anche se potessimo mangiare la carne di Cristo, questo non ci sarebbe di alcuna utilità. Mangiare il pane di vita significa credere in Gesù, andare ai suoi piedi, conoscerlo, accettare le sue parole che sono spirito e vita. Gesù si è offerto come sacrificio una volta per sempre. Voler ripetere il suo sacrificio sarebbe minimizzare il valore della croce. Ridurremmo la sua morte a quella di un qualunque agnello. Sarebbe cercare di ottenere con le proprie mani ciò che Dio ci ha già offerto gratuitamente. Ripetere il sacrificio di nostro Signore significherebbe rifiutare e rinnegare Cristo e la salvezza che ci è offerta.

 

 

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