Distribuiscono preservativi e informazioni. Le accompagnano negli ambulatori. E quando le prostitute decidono di ribellarsi ai loro aguzzini le accolgono in «case di fuga». E’ il servizio anti-tratta messo in piedi da enti locali e onlus italiane che da quindici anni e’ adottato e copiato in tutta Europa. Dal primo settembre rischia pero’ un’interruzione. La causa scatenante un bando del dipartimento pari opportunita’ guidato dal ministro Maria Elena Boschi che cerca di mettere ordine tra le competenze e fondi a pioggia.

Con una spada di Damocle: le ragazze che vorranno sottrarsi alla rete criminale che le obbliga a prostituirsi rischiano di non trovare nessuno disposto ad aiutarle in  Sardegna, Basilicata, Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e in alcune zone della Sicilia Orientale.

Le associazioni e le onlus di questi territori sono state escluse dal bando del governo che ha stanziato 13 milioni e premia quindici realta’ della lista, tra cui Regioni che si fanno capofila dei progetti e singole associazioni.

Per tutta risposta gli «esclusi» hanno alzato la voce: «Tutti gli enti finanziati hanno avuto riconosciuto il massimo del budget richiesto. Non si poteva finanziare solo una quota, come negli anni scorsi, e cosi’ ricavare risorse anche per gli altri progetti? In questo modo si poteva dare continuita’ a tutti, senza dover chiudere dei servizi attivi da anni e che nessuno rilevera’».

E poi puntano il dito contro i nuovi criteri di valutazione «inadeguati» e il premio a progetti senza tenere minimamente conto della storia e dell’esperienza maturata dagli enti attuatori nel passato. Come per un qualsiasi bando «basta scrivere un bel progetto per essere finanziati?» si chiedono.

Inizia cosi’ un servizio del settimanale L’Espresso del 31 agosto 2016 su una questione che rischia di far chiudere diversi servizi anti-tratta. Abbiamo chiesto un parere a Alberto Mossino del Progetto integrazione accoglienza migranti (Piam) di Asti, intervistato da Adelina e Roberto Vacca.

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