Luigi Caratelli – Gesù disse: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate» (Mt 28:18-20).

Una commissione del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), l’organismo che riunisce le diverse organizzazioni del movimento ecumenico moderno, nel 1970 produsse un documento in cui campeggiava la parola d’ordine «Common Witness» (testimonianza comune). Si ribadiva non solo l’impegno per il dialogo e la riconciliazione fra le diverse tradizioni cristiane, ma si sottolineava più decisamente il fatto che chiunque «critica… dottrine, credenze o pratiche di un’altra chiesa compie un atto di slealtà». Più specificamente si proibiva di chiamare idolatri quanti venerano icone, o la madonna e i santi; oppure di contrastare quanti credono nell’evocazione dei defunti.

Secondo tale dichiarazione, Gesù stesso avrebbe avuto seri problemi a insegnare «tutte quante le cose» che ha «comandato di insegnare ai suoi discepoli». Come pure Lutero sarebbe stato imprudente a criticare atteggiamenti e pratiche antibibliche. Problemi seri anche per coloro che avrebbero dovuto insegnare «tutte le cose» alle generazioni future, fino alla fine del mondo.

Certamente è giusto, se accetti di far parte di una «Comunità ecumenica», osservare le regole condivise. In questa ottica quindi non è giusto, né etico, partecipare alle riunioni del Cec con l’intento di portarsi a casa qualche pecora di altri ovili. Non si può fare, ed è giusto che sia così.

Ecco perché la Chiesa avventista non fa parte del Cec. Anche perché quando Gesù dice «fate miei discepoli», implicitamente invita a «fare proseliti».

Deve essere chiaro che essere chiamati a diffondere il messaggio di Cristo non ci autorizza a sciorinare, magari con aggressività, le dottrine che contraddistinguono la nostra denominazione; ma ci sprona ad avvicinare gli altri con il volto dell’accoglienza, della tenerezza, dell’amore, dell’interesse di Dio per le persone: cosa, purtroppo, non sempre tenuta in gran conto da chi dovrebbe rappresentare il vangelo totale.

Proselitismo: una parolaccia?
Per il Consiglio ecumenico delle chiese chi si prefigge di fare proselitismo, ossia di «fare discepoli» per Cristo (nel senso positivo dello stesso termine), va: «… contro lo spirito dell’amore cristiano, facendo violenza alla libertà della persona umana e distruggendo la fiducia nella testimonianza cristiana nella chiesa di origine. Il proselitismo è l’aspetto corrotto della vera testimonianza». Ossia, se io, avendone l’occasione, cerco di avvertire una persona – con il massimo rispetto – della pericolosità della idolatria sottesa alla venerazione delle «icone» o del culto della «madonna e i santi», commetterei «un atto di slealtà»? Oppure – sempre nel rispetto delle idee altrui – se mi capitasse di «contrastare quanti credono nell’evocazione dei defunti», mettendomi ancora nella posizione di chi «critica… dottrine, credenze o pratiche di un’altra chiesa», compirei sempre «un atto di slealtà»?

In sintesi: tutto quello che l’avventismo ha scoperto nel corso della sua lunga formazione teologica, deve considerarsi patrimonio che deve essere tenuto nascosto per non assommarsi tra gli operatori di «slealtà»?

Benissimo pensare in tal senso se – ripeto – in un consesso che ha adottato certe regole io mi comporti da «furbo», quindi da sleale. Ma, mi è parso di capire – spero sia solo una fallace impressione – che alcuni avventisti tendano ad applicare tale regola in qualsiasi contesto, anche quando non richiesto. C’è chi è diventato più buono e più lungimirante di Gesù stesso e, pur non partecipando mai a nessuna riunione del Cec, ha pensato che sia giusto «non pestare i piedi a nessuno», «non esporre le nostre dottrine», «occuparsi solo del sociale», «predicare solo il Cristo»; tanto, dicono alcuni, quel che conta è essere cristiani e non avventisti. Insomma hanno coperto d’un colpo il resto del vangelo.

Le priorità del Padre
È logico che sono cristiano perché annuncio, prima di tutto e più di ogni cosa, la grazia di Dio; ma proprio perché cristiano devo anche annunciare il resto, «tutte le cose» che il Signore ci ha comandato di insegnare. Anche il giudizio, che non è una pillola dolcificante, ma una grande preoccupazione di Dio: «Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio» (Gv 16:8). Il pastore riformato Matthias Zeindler si chiede incuriosito come mai «Il giudizio finale di Dio… fa parte di quelle cose di cui nel panorama religioso contemporaneo si evita di parlare», e constata che «Il tema del giudizio è del tutto assente anche dall’attuale pratica ecclesiastica».1 Naturalmente Zeindler, nel bellissimo testo in cui raccoglie le sue riflessioni, ha cura di specificare che anche il giudizio è un atto di amore di Dio poiché liberatorio e in difesa dei deboli e degli ultimi.

Ma, è ancora nella preoccupazione di Gesù presentare il vangelo nel suo «pacchetto» completo, senza adulterazioni o sconti: «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada» (Mt 10:34-37).

L’importante è saper impugnare la «spada» giusta. Che è sempre quella della carità.

Gesù non può esser barattato con i nostri «peluche» facenti funzione di sonnifero. Egli non è solo l’Agnello, ma anche il Leone di Giuda (Ap 5:5,6). Il più bel testo del vangelo, esposto perfino negli stadi di calcio da zelanti cristiani, ricorda che «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3:16); ma se si ha cura di leggere più avanti, al versetto 36 dello stesso capitolo, scopriamo che: «Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui». È lo stesso Dio: agnello e leone. In nessun caso un «dio sonnifero» o «bonaccione»: non gli è permesso proprio dal fatto che è un Padre preoccupato di salvare, più che di giudicare e condannare.

Qualunque padre che vuole essere d’aiuto ai suoi figli è costretto a dire loro anche cose che non si dovrebbero dire, pur di salvarli. Al contrario, assumere le sembianze del «dio molle», non fa altro che perdere ciò che si voleva salvare.

Un posto per gli avventisti
I cristiani hanno, nel piano di Dio, una responsabilità stupenda e un posto straordinario. Gli avventisti non fanno eccezione, ma hanno ricevuto uno speciale favore da parte di Dio: comunicare al mondo l’ultimo suo messaggio d’amore. Ed è interessante notare che gli avventisti di oggi sono i discendenti di un grande movimento che ha visto protagonisti credenti delle più svariate fedi: ecumenismo profetico, direi. Oggi noi avventisti siamo i continuatori e i ripropositori – insieme a credenti di altre fedi – di questo «sogno di Dio»: chiamare un popolo per un tempo speciale.

Sì, perché è di questo che si tratta: saper leggere i segni profetici. Daniele annuncia una data, il 1844, oltre la quale non ci sono più date: ossia indica – per dirla con il teologo Ball – l’inizio «dell’ultimo degli ultimi giorni», o del «tempo della fine», se preferite variare ottica.

Non c’è più tempo, insiste il libro dell’Apocalisse. Ove si aggiunge che proprio i credenti dell’ultima chiesa profetica sono chiamati a predicare colui che viene a giudicare. A molti avventisti questo quadro «non quadra» più; nel senso che non si sentono più chiamati alla specificità. Sono convinti che si debba sciogliersi e confondersi – del resto come auspicato da Gesù – come il sale tra le pieghe della società. A essi basta questo: affermare le peculiarità avventiste dà loro fastidio.

E qui si giunge al nodo cruciale, al problema principe. Si tende a non predicare da «cristiani avventisti» perché c’è chi ha predicato l’avventismo con poche sfumature cristiane. Insomma dire che tal dei tali è la bestia apocalittica, pensando di riassumere così tutto il vangelo, ha messo sulla difensiva avventisti più sensibili, a tal punto che – nel gergo popolare, sempre utile – questi ultimi hanno rinunciato all’ «acqua sporca» (una predicazione aggressiva e poco rispettosa delle idee altrui), insieme al «bambino» (le verità indispensabili per i tempi ultimi).

D’altronde proprio l’agenda degli ultimi giorni, così come stilata in Apocalisse, prevede quale «predicazione ultima» nient’ altro che il «vangelo eterno». Anche perché, le cose utili indispensabili sono sempre predicate, in qualunque tempo, da cristiani attenti ai bisogni degli altri. Parafrasando Gesù, queste sono le cose che dovevamo fare (opere di bene), senza dimenticare le altre (l’annuncio di ciò che rende diversi).

Anche perché siamo responsabili non solo di quanto facciamo, ma anche di quanto non diciamo. In questo senso interpreto le parole di Ellen G. White, scritte a seguito di un sogno angosciante in cui persone di ogni ceto, ormai perdute, si rivolgevano agli avventisti dicendo: «Se eravate certi che queste cose sarebbero avvenute, perché ci avete lasciati nell’ignoranza?».2

Dire tutto ciò che ci è «stato comandato» produrrà un nuovo risveglio: «Dio – dice ancora Ellen G. White – ha dei discepoli nelle chiese protestanti e un gran numero nelle chiese cattoliche».3 E continua: «Ci sono molte anime che usciranno… dalle chiese… il cui zelo è molto superiore a quello di coloro che sono rimasti nelle fila di chi proclama la verità».4

Nota finale. Alla voce «proselitismo», l’enciclopedia Treccani riporta: «Attività svolta da una religione, un movimento, un partito per cercare e formare nuovi seguaci… L’attività missionaria è una forma organizzata del proselitismo». In nessun posto è detto che «Il proselitismo è l’aspetto corrotto della vera testimonianza», come afferma il Cec.

La Chiesa cristiana avventista non va a caccia di pecore di altri ovili, ma – è mia opinione personale e provocatoria –, non potrà mai smettere di «fare discepoli»; quindi, di fare proseliti per Gesù.

 

Note

1 M. Zeindler, Dio giudice. Un aspetto irrinunciabile della fede cristiana, Claudiana ed., Torino, 2008, pp. 5-8.
2 E. G. White, Manoscritto 102, luglio 1904.
3 Idem, Selected Messages, vol. 3, pp. 386, 387.
4 Ibidem.

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