In prossimità della festività in cui il mondo cristiano ricorda la nascita di Gesù sulla terra, proponiamo una riflessione sulla promessa del suo ritorno.

Michele Abiusi – Il brano del Vangelo di Matteo capitolo 24, i versetti da 37 a 44, è parte di un discorso profetico ed escatologico fatto da Gesù ai discepoli. Si inserisce nella lunga risposta che Gesù dà ai discepoli, sollecitato dalla loro domanda all’inizio del capitolo 24: “Mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si avvicinarono in disparte, dicendo: ‘Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell'età presente?” (v.3).

Da questo momento, anche Matteo, così come Marco (capitolo 13) e Luca (capitolo 21), include nel suo Vangelo un “discorso escatologico” centrato sulla rivelazione da parte di Gesù della sua prossima venuta, la cosiddetta parusia (parousìa, in greco). Questo discorso, che è un vero e proprio insegnamento, una catechesi, perché Gesù lo fa da seduto, nell’atteggiamento tipico del rabbi, del maestro, si protrae fino a tutto il capitolo 25 e si conclude con il giudizio finale.

Riflettiamo sul testo di Matteo 24:37-44.

“Come fu ai giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo” (v 37). 
Non a caso il brano del Vangelo ci riporta al tempo di Noè, quando la gente mangiava, beveva e si divertiva senza darsi pena della tragedia che si avvicinava. Noè costruì l’arca sull’asciutto per ben centoventi anni, e da parte dei suoi contemporanei vi era solo indifferenza e chiusura di fronte all’appello di Dio. 
Gesù non parla di trasgressioni, gravi o leggere, da condannare, ma delle situazioni normali della vita quotidiana. Situazioni che non presentano niente di male in sé… Noè entrò nell’arca e i suoi contemporanei continuarono la vita di sempre, anzi si facevano beffe di quest’uomo di Dio che restò chiuso per una settimana nell’arca, prima che iniziasse a piovere…

Perché questo paragone? Ai tempi di Noè la vita scorreva non dedita “alle cose di lassù”, non c’era questa presa di coscienza interiore per poter accogliere la grazia divina. Anche oggi, in qualche modo, avviene la stessa cosa: viviamo una certa sicurezza di noi stessi, una sorta di auto sopravvivenza.

“Infatti, come nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e s'andava a marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e la gente non si accorse di nulla, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo” (vv. 38, 39). 
Gesù paragona la società antidiluviana a quella che vedrà la parusia. Anche il Secondo Avvento sarà caratterizzato dall’indifferenza verso le cose spirituali. Facendosi ancora una volta interprete di un episodio chiave dell’Antico Testamento, quello del diluvio universale, Gesù sembra voler dire che il pericolo per gli esseri umani rimane sempre lo stesso, fin dai tempi di Noè, quello cioè di volare basso.

Il messaggio per ognuno è chiaro: vivere la propria esistenza con impegno, serietà e costanza nell’attesa della venuta del Signore. Mangiare e bere, prendere moglie e marito non sono attività di per sé riprovevoli, ma divengono simboli della banalità e della miopia spirituale. Non si accorsero di nulla, letteralmente significa: non seppero correre ai ripari, non realizzarono la gravità della situazione. Non si accorsero che il giudizio era imminente.

Pure oggi molti, anche credenti, nonostante le tragedie che si susseguono su questo nostro pianeta (tsunami, inondazioni, terremoti, smottamenti, incidenti, terrorismo, stragi di persone innocenti) vivono nella dimenticanza del giorno del Signore, nella superficialità e forse nel rifiuto di Dio. L’avvento ci sprona a fermarci un poco, a riflettere per capire in quale direzione è orientata la nostra vita, a mettere un po’ di ordine nella nostra coscienza. Perché l’avvento è attesa.

“Allora due saranno nel campo; l'uno sarà preso e l'altro lasciato; due donne macineranno al mulino: l'una sarà presa e l'altra lasciata” (vv. 40, 41). 
Non viene detta quale sia la diversità tra i due uomini nel campo, né tra le due donne che macinano. Eppure, uno e una saranno presi, mentre l’altro e l’altra verranno lasciati! In questi personaggi possiamo leggere i due aspetti della vita che conduciamo: contare su se stessi o su Dio. “Preso”, in greco paralambano, è il verbo adoperato anche nel Vangelo di Giovanni: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi” (14:3). Parlando del suo ritorno, Gesù mette in risalto che accoglierà i discepoli che lo aspettano. La parusia non è un “rapimento segreto”, bensì l’esecuzione di un giudizio che spetta solo a Dio. La parola “lasciato”, letteralmente “mandato via”, ci fa capire che la salvezza non è universale; solo chi accoglie Cristo nella propria vita sarà salvato.

“Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il vostro Signore verrà. Ma sappiate questo, che se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte il ladro deve venire, veglierebbe e non lascerebbe scassinare la sua casa” (vv. 42, 43). 
Vegliare è un tema ricorrente in questo capitolo 24! È necessario vegliare per riconoscere i segni dei tempi. Non sapere l’ora del ritorno del Signore può provocare paura, ma è il solo modo per vivere il presente. A noi tocca stare pronti, come gli invitati al pranzo di nozze della parabola raccontata da Gesù (Matteo 22:1-14), o le dieci vergini che attendevano lo sposo (Matteo 25:1-13). Non conosciamo l’ora e il giorno, ma sappiamo che il Signore verrà, per questo restiamo vigili, in attesa. L’insistenza nel dire “sappiate”, cioè “cercate di capire”, ci rivela quanto Gesù abbia a cuore la nostra sorte. Dopo il paragone con il diluvio al tempo di Noè, Gesù ora usa l’immagine del ladro che viene nella notte e del padrone di casa che non sorveglia. Non conoscere il giorno e l'ora dovrebbe convincerci della necessità di vigilare sempre, di essere sempre "pronti", preparati!

La parte finale del versetto 43, “non lascerebbe scassinare la sua casa”, ci obbliga a non aspettare gli eventi della vita che ci distruggono (descritti qui con il ladro), ma a saperli leggere alla luce del vangelo. Possiamo intendere la casa nominata qui come la cella del nostro cuore, ove riscoprire e orientare le nostre scelte di fede, un riscoprire la sobrietà della vita, un vivere la purità di cuore che è legata fondamentalmente alla vita spirituale.

“Perciò, anche voi siate pronti; perché, nell'ora che non pensate, il Figlio dell'uomo verrà” (v. 44). 
Nessuno conosce il giorno e l’ora. L’evangelista Matteo presenta il tema della vigilanza per poter essere pronti alla venuta di Cristo. In questo momento Gesù, rivolgendosi a noi, continua a chiederci di vigilare attentamente. E questo non significa starsene barricati, al sicuro, ma assumersi ogni giorno le proprie responsabilità e affrontare gli avvenimenti della vita. È un mettersi continuamente alla presenza del Signore. È avere la forza di spezzare l’indifferenza, l’inerzia, la distrazione.

L'Avvento ci ricorda una duplice venuta del Signore. La prima, per lungo tempo attesa e desiderata ardentemente da tutti i profeti, ma riconosciuta da pochi giusti. La seconda, in cui Gesù si manifesterà con piena evidenza ai giusti e ai reprobi. Ripensiamo a quanti beni ci donò il Signore con il suo Primo Avvento; e ricordiamo che saranno molto più grandi con il Secondo. Questa considerazione ci porti ad amare il momento della sua nascita sulla terra e a desiderare il suo ritorno. Noi annunziamo che Cristo verrà. Il suo ritorno sarà molto più glorioso del Primo Avvento. Quindi, non limitiamoci a riflettere solo sulla sua nascita, impariamo anche a vivere in attesa del suo ritorno.

 

 

 

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