Luigi Caratelli
– Ricordo vividamente un bellissimo seminario a Torre Pellice (TO), tenuto da un sociologo avventista che lavorava presso la chiesa mondiale, Gottfried Oosterwal. Nell’incontro in cui ci parlava della teologia dei doni, raccontò l’esperienza vissuta in una chiesa da lui visitata.

In quell’occasione, spiegava alla congregazione l’importanza di pregare affinché il Signore rendesse noto a ogni membro i propri doni. Una sorella, non riuscendo più a contenere la gioia, lo interruppe dicendogli: «Io ho scoperto qual è il mio dono!». L’oratore le rispose che al termine della sua esposizione avrebbe potuto dire tutto ciò che aveva in cuore, e riprese a parlare. Ma la sorella voleva a tutti i costi la conferma che il suo fosse veramente un dono, e interruppe Oosterwal per altre due volte. «Cosa potevo fare!» ci disse «Sospesi la mia relazione e la lasciai parlare».

La donna spiegò che il suo dono consisteva nello scrivere delle lettere. Al che Oosterwal ribatté che «teologicamente» era impossibile, poiché nelle liste dei doni riportate dagli autori del Nuovo Testamento quello dello scrivere lettere proprio non figurava. A questo punto si alzarono in piedi, a turno, almeno quattro persone e, rimproverando l’oratore, testimoniarono del fatto che, usciti dalla chiesa per svariati motivi, vi avevano fatto ritorno proprio grazie alle lettere che quell’umile sorella aveva continuamente inviato loro per sostenerle e incoraggiarle, svolgendo così un’opera pastorale fuori dai canoni. Ho scolpita nella mente la brillante conclusione di Oosterwal: «Da quel giorno, nella mia lista dei doni dello Spirito, ho inserito quello di “scrivere lettere”».

Il dono di essere pastori, predicatori, ma anche il dono di scrivere lettere. Certe qualifiche si conseguono sul campo, istruiti dal Maestro stesso.

Doni per tutti
Si prova difficoltà a relazionarsi con alcuni religiosi, soprattutto quando essi ricoprono cariche che li portano, in qualche modo, a prendere decisioni per gli altri. Religiosi di ogni confessione, nessuna esclusa. Una delle cose che non ho mai metabolizzato è la sicurezza di molte guide spirituali nel sentirsi punti di riferimento imprescindibili e dispensatori di verità, che blindano le loro certezze dietro una presunta superiorità di ruolo: tutti scippatori della gratuita grazia di Dio per ogni credente.

Anzi c’è chi ritiene che solo ai ministri di culto siano riservati certi ruoli importanti; e c’è addirittura chi ha difficoltà a riconoscere tale ruolo alle donne. Mi torna in mente il comportamento di un dirigente di chiesa che aveva come collaboratrice una giovane lettrice biblica: le vietò – ritenendolo sconveniente – di predicare dal pulpito in giorno di sabato, assegnandole – bontà sua – solo qualche meditazione la sera del venerdì.

Chi preferisce far fare tutto ai pastori, o chi è convinto che quanti sono forniti di un diploma o di una laurea in teologia offrano migliori garanzie di attendibilità rispetto a chi ne è privo ha, in parte, ragioni da vendere: ma sul piano puramente umano, e non sempre su quello dello Spirito che, si sa, soffia sempre «dove vuole». Spesso si dimentica la stupenda «teologia dei doni», a cui la chiesa avventista crede fortemente. È Dio che distribuisce doni e qualifiche, al di là delle facoltà di teologia. È sempre Dio a desiderare che le facoltà di teologia, da lui volute e benedette, possano preparare pastori che sappiano riconoscere e valorizzare gli immensi doni in fratelli e sorelle delle chiese che saranno chiamati a servire.

La teologia di Dio
Ellen G. White ha ripetutamente scritto parole confortanti per i tanti «outsider» che popolano le nostre comunità.

Bellissime e gravi sono le sue ammonizioni contenute nel libro La speranza dell’uomo: «Ai tempi di Cristo» ella dice «l’insegnamento era divenuto formale. […] La mente degli studenti si ingombrava di nozioni inutili, prive di valore reale. In questo sistema di educazione non si teneva conto dell’esperienza che si compie quando si accetta la Parola di Dio. Gli studenti, presi dall’ingranaggio delle forme esteriori, non trovavano il tempo e la tranquillità necessari per la comunione con Dio e non udivano la sua voce nel loro cuore. La loro ricerca del sapere li aveva fatti allontanare dalla sorgete della sapienza. […] La cosiddetta istruzione superiore era in realtà l’ostacolo maggiore per giungere alla sapienza» – Edizione del 1978, p. 40.

La frase con la quale E. G. White conclude il brano succitato dovrebbe essere scritta sui muri di ogni facoltà teologica: «Gesù non fu istruito nelle scuole della sinagoga» – Ibidem. Insomma, si può essere efficaci servitori del Signore anche con il poco che abbiamo, pur non avendo frequentato scuole di teologia.

Le scuole di teologia, come quelle dei profeti nell’Antico Testamento, sono sempre frutto dei piani di Dio per organizzare al meglio, e con competenza, la sua chiesa; ma la teologia deve essere sempre quella di Dio, non del teologo di turno che può anche sconvolgerne i piani.

Doni per rimanere uniti
Ringrazio il Signore, perché dalle nostre scuole di teologia sono usciti pastori «autorizzati». Ma sono anche convinto che le nostre chiese (oltre a tanti che non amano essere disturbati dal loro letargo spirituale) abbondino di «predicatori nascosti», che possono essere la linfa vitale di quelle comunità. A loro giungono come sostegno altre parole di E. G. White: «Il segreto del successo non risiede nella cultura o nella nostra posizione sociale. […] Coscienti della nostra insufficienza, contempliamo Gesù, sorgente di ogni forza e pensiero supremo […] I più deboli e umili potranno ottenere quel che i più grandi e saggi non possono raggiungere con le loro forze. L’aurea porta del cielo rimarrà chiusa di fronte agli orgogliosi e non si aprirà davanti ai superbi, ma si spalancherà al trepido bussare di un bambino». – Parole di vita, p. 282.

Le fa eco il grande predicatore James H. Taylor che afferma: «Tutti i giganti di Dio sono stati uomini deboli che hanno fatto grandi cose per lui perché contavano sul fatto che Dio era con loro». – goodreads.com

Credo che molti, giunti a questo punto, saranno stati sfiorati dal dubbio che ha suscitato la reazione di un mio caro amico pastore. Con lui ebbi uno scambio epistolare grazie al quale confrontammo le nostre idee in tema di profezie e di visioni teologiche. Nell’ultima email mi faceva notare, con convinzione, che gli sembravo allergico alla teologia e ai teologi. Niente di più lontano dalla mia sensibilità. Fuggo come la peste l’arroganza dello studioso «fai da te», che potrebbe fare a meno della teologia, anzi considero quest’ultima assolutamente indispensabile per poter dire qualcosa di importante sulle Sacre Scritture.

Soltanto che, nell’esperienza di ognuno che è in prima fila nel portare il vangelo, è bene dare la giusta precedenza alla persona di Gesù: per molti anni della mia vita mi sono prima premurato di «riempire» il mio cuore della sua presenza; solo in seguito ho «riempito» la mia biblioteca con un buon numero di testi di teologia.

Per perseguire il giusto sentiero della spiritualità, può essere vero anche il contrario: partire dalla teologia per giungere al Signore. Purché a nessuno venga in mente di dettare i tempi a Dio e indicargli i «reclutamenti» preferibili.

È Dio che dà le pagelle. Sempre.

 

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