Michele Abiusi – Nel famoso sermone sul monte, Gesù condannò il formalismo religioso che da solo può sminuire il valore della religione e della fede. La preghiera, il digiuno e le elemosine furono le pratiche menzionate da Gesù.

Riflettiamo su quest’ultimo aspetto: le elemosine.

Dai tempi più antichi l’essere umano ha manifestato la propria riconoscenza al Creatore offrendo parte del suo raccolto e dei suoi animali. In epoche meno remote, e ancora oggi, il credente offre a Dio parte delle proprie entrate in denaro, come la decima biblica.  Questa pratica trova conferma nella Bibbia e nasce dalla concezione che Dio è il proprietario di ogni cosa, mentre l’uomo si riconosce suo amministratore. Purtroppo l’uomo non si è conformato a questo principio e si è subito trasformato in padrone assoluto, sfruttando e distruggendo la natura, gli animali e addirittura i suoi simili.

Le decime, insieme alle offerte volontarie, avevano un doppio obiettivo:
– mantenere materialmente le famiglie dei sacerdoti che potevano così occuparsi dell’istruzione religiosa e di tante altre attività connesse alla famiglia e al sociale;
– educare i credenti alla generosità e alla sensibilità verso i bisogni altrui, lottando così contro la povertà, l’egoismo e l’avarizia.

Vediamo cosa Gesù disse al riguardo: “Quando dunque fai l’elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra,  affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Matteo 6:2-4).

Anche il fare l’elemosina può trasformarsi in strumento di ostentazione della propria santità. Un gesto umanitario rischia di diventare atto di presunzione e di orgoglio. Molti credenti pensano addirittura che la loro generosità si trasformi in atti meritori di salvezza.

Il Vangelo di Matteo riporta altre parole del Maestro: “Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6:19-21).

Sono parole che invitano a non collocare la propria fiducia nelle ricchezze e a non vivere in funzione di esse. Leggendo questa frase di Gesù che incoraggia a non accumulare tesori in terra, molti hanno pensato che donando i propri beni alla chiesa si sarebbero fatti un tesoro in cielo, nel senso di crearsi un’assicurazione sulla vita… eterna.

Vedono quindi il Signore come un uomo d’affari o un banchiere che tiene i conti correnti di ognuno dei suoi figli e, quando il conto raggiunge un certo ammontare, il correntista ha diritto al paradiso. Altri pensano persino che possiamo depositare dei meriti nel conto corrente di altre persone salvandole dal “purgatorio”. In questo modo i premiati sarebbero ancora una volta i ricchi e i potenti.

Eppure Gesù insegnava esattamente il contrario: “Egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: ‘Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro’” (Luca 6:20).

“E ripeto: è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio” (Matteo 19:24).

Gesù va contro corrente: Dio non è affatto un banchiere che vende le sue grazie in base all’offerta migliore. Dio è un padre misericordioso e non fa differenze tra i suoi figli. Anzi, è vicino a tutti e in modo particolare ai più vulnerabili, ai più poveri, agli emarginati, agli oppressi, ai disabili.

Quante persone non credono, perché la cristianità ha inventato questo Dio “contabile” che dà esattamente a ognuno secondo i propri meriti. Quanti sono scappati dal Dio del “purgatorio” che salva da sofferenze atroci coloro che pagano più in fretta o coloro che possono avvalersi delle migliori raccomandazioni. Dobbiamo confessare che abbiamo creato un Dio fatto a nostra immagine, simile a noi!

Ma voglio darvi due buone notizie: la prima è che il Dio “contabile” non esiste; la seconda è che possiamo credere ancora in Dio, ma in quello vero, il Dio di cui ci parla la Bibbia. Ecco cosa scrisse l’apostolo Paolo ai credenti di Efeso: “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati…   Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio.  Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti “ (Efesini 2:4,8,9)

Dio non ci salva in funzione delle nostre opere, delle nostre offerte, delle nostre amicizie o grazie a raccomandazioni autorevoli. Dio ci salva perché è ricco in misericordia. La salvezza è un dono e quindi non si compra. Gesù annunciò questa grande verità quando disse: “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16).

Ecco la buona notizia: la vita eterna inizia in noi quando ci avviciniamo a Dio e quando lo accettiamo come un Padre buono, un amico sincero e fedele. Allora non ci sarà spazio per ipocrisie, non vivremo la nostra religione per farci vedere dagli altri o per guadagnare qualcosa dal Signore.

Con Gesù abbiamo già tutto: il perdono, la grazia, la salvezza, il suo amore.

 

 

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